Nelle regioni dell’America Centrale e Meridionale si alternarono elevate civiltà, quali quella tolteca, atzeca e incas con le proprie divinità, usi, costumi e specifici rituali. Sussistono importanti incertezze sulle datazioni, le possibili influenze e conoscenze, acquisite attraverso contatti con popolazioni dall’Oriente e, in particolare, attraverso il profondo Nord, con popolazioni siberiane, ed anche qualche sporadico contatto, attraverso qualche imbarcazione che era riuscita a superare lo sconfinato Atlantico, con l’Africa, sia al tempo degli egizi che in epoche successive. Sta, di fatto, che tali civiltà si svilupparono mettendo a punto, quanto meno, sistemi di scrittura, di calcolo e di conoscenze astronomiche. La loro religione era estremamente complessa e permeava tutto con rigidi e crudeli rituali. Purtroppo la conquista spagnola decretò, con il rogo dei testi sacri, ritenuti demoniaci e l’imposizione di un’abiura e rapida conversione al cristianesimo, la perdita di ogni possibile documentazione anche nel settore della scienza medica. Unico aiuto, oltre al Codice Barberini, redatto, su ordine del vescovo Diego de Landa, da uno scrivano spagnolo sulla base dei ricordi di due medici atzechi, il “Chilam Balam”, raccolta anch’essa ricostruita, sulla storia del popolo maya. Nel vasto e complesso empireo vi erano divinità benefiche, come Itzamma, signore del cielo e Dio della medicina, oltre a divinità specifiche, tutelari della gra- vidanza e del parto, dei bambini, e Kukulkan, protettore dalle febbri. Non mancavano, di contro, divinità malefiche, quali Ahalpum che determina l’ittero, o Patan e Xoquiripat cui si devono le emorragie, le emottisi ed il vomito ematico.

Per servire le divinità vi era una organizzazione sacerdotale piramidale con, al vertice, il “Principe serpente”, al disotto i veggenti, poi i “Nacom”, addetti ai sacrifici ed, infine, gli Ahmen che sono i sacerdoti-guaritori e cioè i medici che si erano formati nelle scuole sacerdotali ove avevano appreso, oltre alla teologia, la scrittura, l’astrologia, l’arte medica e la preparazione dei farmaci.  Sorprendente il fatto che anche l’Ahmen, di fronte ad una diagnosi difficile, ricorresse ad una sorta di mantica, basata sulla osservazione del comportamento dei chicchi di mais la- sciati cadere in una coppa piena di acqua, osservandone il comportamento: galleggiamento, aggregazione più o meno veloce. I rimedi erano, per lo più, di natura vegetale con ricorso al granturco, all’incenso, alla valeriana, al tabacco, alla salsapariglia, alla passiflora.

Ancora più complessa la religione atzeca. La classe medica era suddivisa nei medici puri o “tapati” e nei guaritori o “ticiti”. La visita medica iniziava con un complesso rituale magico, esaurito il quale si passava alla diretta attenta osser- vazione del naso in quanto: “… uno dei segni premonitori della morte è un che di fuliggine tra gli occhi… il naso si affina… i denti digrignano ed il malato farnetica e dice parole senza senso, come i pappagalli…”.

A fini terapeutici si dispone di ben 3000 piante medicinali, in buona parte ereditate dalle precedenti culture, fra cui ricorderemo la famosa salsapariglia, che grande fortuna avrà in Europa per l’attribuzione di proprietà, antiasmatiche ed antiluetiche, la cascara e la gialappa, per le loro virtù purgative. La fumigazione con incenso veniva praticata, sia per rianimare i colpiti dal fulmine, sia per tener lontane le malattie portate dai venti, sia per combattere l’epilessia. Usate anche sostanze di origine animale, come la cenere di ossa e di corna, del sangue e della bile, gli estratti di organo ed i bezoar, o ogni altro reperto anomalo reperito nel corpo umano. Vi erano anche rimedi per l’angina, le odontalgie ed altri dolori. Progredita l’ortopedia con immobilizzazioni con gesso e gomma e riparazioni con frammenti di ossa. Note le suture e le trapanazioni craniche, le causticazioni delle ferite e piaghe infette. I medici peruviani si formavano a Cuzco nella “Scuola dei nobili” e potevano essere sacerdoti o laici. La terapia era basata sul digiuno, sulla somministrazione di purganti e su prolungati massaggi.

 

 

Ricca la farmacopea vegetale in cui primeggiava la Coca il cui uso era, però, riservato alla casa reale ed ai sacerdoti e, in quantità limitate, ai corrieri ed agli operai acciocché non avvertissero la fatica. Ne è stato ipotizzato l’impiego, almeno indiretto, nella trapanazione cranica attraverso la continua o, quanto meno frequente, lubrificazione della punta perforante, attraverso la saliva dell’operatore masticante tali foglie. Si ha la fondata impressione che nelle culture precolombiane non venisse concesso ampio spazio al trattamento del dolore, come starebbero a dimostrare i cruenti e frequenti sacrifici umani. Siamo, tuttavia, debitori ad esse, oltre che della coca, da cui avremo gli anestetici locali, della polvere di china e del balsamo del Perù e del Tolù.