Nel bacino del Mediterraneo, esauritasi la civiltà cretese e la minoica, si afferma quella greca e in nessun altro popolo troviamo una tale ric- chezza di racconti suadenti e geniali che parlano e dei poteri degli dei e dell’arte di certi uomini nel curare ferite e morbi. La Grecia è regione povera per un suolo aridamente sassoso ma si affaccia su un mare frastagliatissimo e pieno di isole che spinse i suoi abitanti ad esercitare fruttuosi commerci. Con i commerci avviene anche scambio di nozioni, oltreché di merci, tra cui figurano anche i farmaci. In questa prima fase i greci assimilano la cultura medica egiziana ed hanno un insediamento permanente a Naucrati, nel delta del Nilo. Ad Oriente si giovano delle nozioni mediche assiro- babilonesi. Siamo nel periodo dell’empirismo naturale e dell’apprendimento delle virtù delle erbe sulle quali si innesta una tradizione igienica, sostenuta dalle prescrizioni di purificazione, e dal corretto esercizio della attività fisica e di una corretta alimentazione. Si tratta, quindi, di una semplice ma sana medicina non strettamente subordinata, come in altre civiltà, alle prescrizioni sacerdotali, mediatrice del volere della divinità, anche se il diretto intervento di essa è sempre possibile ed auspicato. Sono di questo periodo i poemi omerici nei quali frequenti i richiami alla patologia, per lo più traumatica e vulneraria, trattata, anche, con farmaci potenti quanto misteriosi, quali il “Nepente” o il succo di una amara radice di cui ci si serve per medicare Euripilo. Si parla nell’Iliade, come se ne parlerà nell’Odissea, di rimedi lenitivi, di vini fatturati ad opera di semplici mortali ed anche di maghe quale Circe, grande preparatrice di filtri e composti, utili ad ogni bisogno. La grande conoscenza della patologia traumatica ha fatto avanzare l’ipotesi che egli stesso sia stato medico o, quanto meno, collaboratore di un medico. Sembra che egli tenda ad evadere dalla diffusa convinzione, emergente dalla più profonda antichità, che la malattia e la sofferenza vengano inferte dagli dei per colpe e mali comportamenti, convincimento, del resto, male adattabile a vicende belliche che vedono coinvolte moltitudini di persone. Va, anche, tenuto presente come nel mondo greco vada diffondendosi quell’amore per la sapienza che darà luogo alla filosofia.
La Scuola pitagorica, con la sua teoria della perfetta armonia, equivalente della salute e della malattia, espressione della disarmonia delle parti, si avvicina ai concetti cinesi degli equilibri energetici. Concetto analogo: “l’isonomia” esprimerà il contemporaneo Alcmeone da Crotone e si inizia a speculare sulla sede del “Sensorium commune”, la sede delle sensazioni che alcuni pongono nel cuore e, i più avveduti, nel cervello. Si discute, anche, sugli elementi terra, acqua, aria, fuoco che, per le loro caratteristiche, formano gli umori del corpo umano: sangue, caldo e umido; bile gialla, calda e secca; bile atra, fredda e secca; flemma che, di per sé, è freddo ed umido.
La teoria umorale condizionerà la medicina per tutto il Medioevo, insieme con i principi dei simili e dei contrari che daranno origine a due possibili indirizzi terapeutici. È in questo stimolante clima, in cui le ipotesi vengono prospettate e sostenute con singolare capacità ed acutezza di pensiero, che si accende la grande luce dell’insegnamento ippo cratico, preceduto dal culto di Asclepio, figlio di Apollo e della ninfa Coronide, allievo del centauro Chirone, che organizza quel sistema di templi, che da lui prenderanno il nome di Asclepiei, tra cui i più famosi erano quello di Cos e quello di Epidauro, e che diventeranno il punto di riferimento per i sofferenti e malati. Significativo anche di fatto che la moglie di Asclepio si chiami “Epione” e cioè “Colei che allevia il dolore”.
Dalle notizie ed esperienze acquisite dai racconti dei malati, in essi affluiti, Ippocrate e gli ippocratici, porranno le basi della razionale organizzazione della medicina e delle, conseguenti, iniziative terapeutiche. Nato nell’isola di Cos, sede di un grande Asclepieo, Ippocrate viaggerà visitando i grandi santuari di Cnido e di Taso e, assai probabil- mente, andrà in Egitto a studiare anche quella medicina. Fortunatamente ha scritto molti volumi di scienza medica, modificando ed organizzando tutto il sapere medico, confrontando dopo la sua analisi, le sue interpretazioni e deduzioni sotto forma di aforismi. È il primo ad affermare che: “Nessuna malattia è più divina o più umana di un’altra, poiché ogni malattia ha una causa naturale e non si produce senza di essa”. Tra i famosi aforismi vi è, anche, il seguente assai significativo: “De duobus doloribus, simul obortis, veementis occultat alter” e cioè fra due dolori insorti contemporaneamente in parti diverse del corpo, il più violento sopraffa l’altro, in cui si può riconoscere, oltre all’acume per l’attenta osservazione, un suggerimento terapeutico da applicare. Le medicine sono, ovviamente, di varia origine, per quelle vegetali e minerali si riconosce all’Egitto un primato. Del resto già Omero cantava: “…l’egizia terra, dono di biade là ove produce moltissimi farmaci, molti buoni, e misti con quelli molto mortali: e ognuno vi è medico…”.
L’oppio, il succo del papavero stillante dalla incisione della capsula, metodica che avrebbe insegnato ai greci Diagora (VI o V secolo a.C.), non sembra ampiamente prescritto, forse maggiore il ricorso all’aconito ed alla mandragora.
Ben noti, comunque, l’elleboro negro, la coloquintide, il veratro, l’issopo, il giusquiamo, l’atropa, la scilla, la menta ed il coriandro mentre, fra i minerali, i composti di rame, allume e piombo. Questi farmaci vengono suddivisi, a seconda delle proprietà: così fra i narcotici viene classificato il coriandro, la mandragora, l’atropa ed il giusquiamo ma non l’oppio, fra gli emetici il sedano, il prezzemolo e l’asparago. In linea di massima sembra che Ippocrate non indulga molto nella somministrazione dei farmaci che non rientrino nella sua condotta terapeutica, riassumibile nella prescrizione: “Primum non nocere, secundum purgare” al fine di ottenere eliminazione dellamateria peccans. Alle tradizionali vie di fuga si può aggiungere il salasso, ideale nell’attacco emorroidario, ma anche nella pleurite e nella polmonite.
Sono da ricordare altri grandi medici, esponenti della Scuola alessandrina come Erasistrato, Erofilo che distingue, fra i nervi emergenti dal midollo, quelli di senso da quelli di moto ed Eracleide da Taranto, che ricorre, più ampia- mente dei suoi colleghi, all’oppio ed ad altri analgesici, quali il carpobalsamo e l’assafetida, gommoresina ricavata dalla Ferula. Certo si è che quello medico non figura tra i vari collegi professionali istituiti da Numa Pompilio e, del resto, anche se va, indubbiamente, ridimensionata la famosa asserzione di Plinio che i romani per più di sei secoli non ebbero medici e neppure medicina, è indubbio che, almeno in questo periodo non abbiano avuto alcun esponente di spicco. Accanto ad una medicina laica, esercitata dai medici etruschi e da qualche praticone latino, vi era anche quella sacerdotale che trattava i malati che affluivano ai tempi della dea Febbre o della dea Mephitis o di Apollo fino a quando, in seguito al ritorno della ben nota ambasceria, inviata ad Epidauro, a scongiurare rimedi contro l’epidemia che aveva colpito, nel 292 a.C. l’Urbe, venne edificato sull’isola Tiberina un tempio ad Esculapio, l’equivalente romano dell’Asclepieo greco.
Ma i favori vanno ai medici immigrati nel primo secolo a.C. così, Asclepiade di Bitinia si conquista la fama, ed il favore del popolo, per aver richiamato in vita un defunto, che tale non era, come lui scopre, ma di cui si stava procedendo al funerale. È più interventista di Ippocrate, che tendeva a sperare nella vis medicatrix naturae cui oppone il suo motto: “Ut tuto, ut celeriter, ut jucunde curet!” sia pure ricorrendo a terapie “dolci” quali i bagni, il ricorso moderato al vino e, soprattutto, al grande effetto sedativo e lenitivo della musica. Sostiene che la malattia deriva dalla rottura dell’equilibrio fra atomi e pori che possono risultare chiusi (status strictus) paragonabile al nostro spasmo. Corregge, rendendoli più umani e sedando con oppio i casi più acuti, i trattamenti della frenite (malattia mentale). Non lesina gli analgesici per combattere i dolori e la sofferenza che ne consegue. È suo il “Diacodio”, sciroppo a base di papavero ed il “Diachylon”, impiastro emolliente. Il dolore pleurico e quello cardiaco, che può essere riferito all’esofago o allo stomaco, come, oggi ben sappiamo. Anche Antonio Musa è greco ed assurge a grande fama per la riconoscenza dell’imperatore Augusto che lo nomina cavaliere e gli fa erigere una statua che lo ritrae, addirittura, sotto l’effigie di Esculapio. L’imperatore è sofferente per gotta e viene curato con bagni freddi e rigida dieta vegetale. Propose una sua composizione midriatica, attiva contro ben 47 malattie, a base di oppio, mirra, mandragora e giusquiamo.
Scribonio Largo di latino aveva solo il nome essendo anch’esso un immigrato che cura i dolori con un estratto di oppio e perché propone di trattare la cefalea cronica ed i dolori della gotta con la puntura della Torpedo marmorata. Il medici greci portano con sé la loro passione per le distinzioni ed i ragionamenti speculativi. Nascono, così, in Roma la Scuola metodica e la Scuola metodica pneumatica che, fondendo gli ippocratici concetti con il pneuma ne sostengono la supremazia nel regolare quel giusto equilibrio degli umori che assicura la salute. Nasce anche con Agatino da Sparta ed Archigene di Apatea un movimento conciliativo che dà luogo alla Scuola eclettica.