Dal sito “Fisiatria interventistica“:

La fascite plantare consiste in una sindrome dolorosa della aponevrosi plantare, una fascia di tessuto connettivo fibroso che si estende dal calcagno prossimalmente al tendine del flessore comune delle dita del piede distalmente.  Può andare incontro a un quadro di degenerazione e infiammazione in ciascuna delle sue componenti (mediale, centrale e laterale), ma più frequentemente si manifesta come entesopatia inserzionale a livello calcaneare. Di conseguenza è la principale causa di quel quadro algico del retropiede che comunemente e genericamente viene definito “tallonite”.

EPIDEMIOLOGIA

La prevalenza della fascite plantare nella popolazione generale è stimata in un range compreso tra il 3.6 e il 7% senza significative distinzioni di genere. Tuttavia tali percentuali crescono esponenzialmente con l’avanzare dell’età e negli sportivi (in questa popolazione al di sopra dei 55 anni si raggiungono picchi di incidenza superiori al 20%).  I fattori di rischio sono rappresentati dunque dall’età avanzata, ma anche dal sovrappeso, dalla vita sedentaria che comporta una inadeguata forza muscolare degli arti inferiori, dalla limitata dorsiflessione di caviglia, da paramorfismi del piede (il piede cavo sembra più a rischio del piede piatto), da microtraumi legati ad attività sportiva eccessiva o non correttamente eseguita, e ancora da calzature inadeguate.  Talune patologie autoimmuni possono determinare la fascite plantare (si pensi alla Sindrome di Reiter, che può manifestarsi come primo segno clinico con una fascite bilaterale). Studi molto recenti stanno inoltre indagando l’impatto dei fattori genetici nello sviluppo di questa patologia. Rimane controverso, anche in letteratura, il rapporto esistente tra la fascite plantare e lo sperone calcaneare. Esso è riscontrabile in circa il 50% dei pazienti con questa patologia e in effetti può esservi associato, condividendone alcuni fattori di rischio (es. obesità). Taluni studi tendono ad escludere che esso possa causare una fascite, considerato che gli speroni si rilevano abitualmente anche in pazienti del tutto asintomatici e che si formano all’origine del flessore breve delle dita piuttosto che della fascia plantare. Altri autori ritengono che possano invece causare microtraumi reiterati a carico della fascia, cui conseguirebbe una degenerazione della stessa, condizione prodromica allo sviluppo di infiammazione e dolore.

MANIFESTAZIONI CLINICHE e DIAGNOSI DIFFERENZIALE

La manifestazione tipica è rappresentata da un dolore graduale e insidioso nella zona inferomediale del piede a livello dell’inserzione della fascia plantare. Tale dolore abitualmente peggiora nel momento in cui ci si alza al mattino e dopo essere stati a lungo seduti o ancora a seguito di lunghe camminate.  È necessario considerare in diagnostica differenziale patologie quali: la sindrome del tunnel tarsale, in cui la compressione del nervo tibiale posteriore determina dolore e torpore al livello della pianta del piede; le tendinopatie dell’Achilleo e le borsiti retrocalcaneari, che tuttavia causano dolore dietro al calcagno; le fratture da stress e gli edemi ossei del calcagno, più frequenti negli atleti e solitamente responsabili di dolori più diffusi e acuti; la malattia di Sever, un’apofisite calcaneare che si sviluppa nel quadro di un’osteocondrosi, dunque tipica dei bambini.

DIAGNOSI

La diagnosi è innanzitutto clinica, basata sulla palpazione della fascia nelle sue diverse porzioni e in tutta la sua lunghezza. Il test palpatorio evoca vivo dolore. Naturalmente è sempre necessaria un’accurata raccolta dell’anamnesi, per verificare fattori favorenti e modalità di presentazione dei sintomi.  L’esame strumentale più semplice per pervenire a diagnosi è senza dubbio l’ecografia, che attesta un patologico incremento dello spessore della fascia plantare. La risonanza magnetica e la radiografia del piede si rendono necessarie solo in rari casi nei quali risulta difficoltosa la diagnosi differenziale con altre affezioni del piede.

TRATTAMENTO 

Il trattamento della fascite plantare richiede sempre un progetto riabilitativo individuale globale, capace cioè di ricomprendere molteplici approcci terapeutici al fine di recuperare la funzione e di prevenire le recidive. A tale scopo, è assolutamente indispensabile educare il paziente ad evitare i possibili fattori favorenti l’insorgenza della patologia (eliminare calzature improprie, ridurre il peso corporeo, interrompere attività sportive quali la corsa fino alla scomparsa completa dei sintomi). Il riposo e l’utilizzo della crioterapia locale rappresentano delle buone prassi cui spesso i pazienti si sottopongono prima ancora di interpellare il medico. La terapia farmacologica per os con antinfiammatori e analgesici offre risultati variabili e poco durevoli. Va dunque sempre embricata, fin dall’inizio, con un protocollo di riabilitazione che preveda: – lo stretching della fascia plantare, da eseguire al mattino prima di camminare e per almeno altre 4/5 volte al giorno (da 5 a 10 ripetizioni per volta); – lo stretching del tendine d’Achille, la cui scarsa estensibilità è certamente un ostacolo alla guarigione completa. Molti mezzi fisici vengono adoperati nel trattamento della fascite plantare, con risultati discordanti in letteratura. Tra questi meritano tuttavia una menzione ultrasuoni, laserterapia (in particolare appaiono promettenti i risultati della HILT-therapy, cioè di laser ad alta intensità) e TECAR: obiettivo comune è quello di favorire un processo di rigenerazione della fascia contrastando il dolore. Certamente l’energia fisica più descritta in letteratura per la cura della fascite è rappresentata dalle onde d’urto, in particolare da quelle focali. Non esistono protocolli univoci, ma abitualmente si utilizzano schemi terapeutici che prevedono da 3 a 5 sedute, con cadenza settimanale, ciascuna comprensiva di numero di colpi che va da 2.000 a 2.500. I livelli di intensità e frequenza variano in relazione alla tipologia di apparecchio utilizzato. I risultati sono ottimi*6, soprattutto in termini di risoluzione del quadro di flogosi e degenerazione tissutale. Il quadro algico può talvolta richiedere alcune settimane dalla fine del ciclo per risolversi completamente. La terapia manuale può essere utile in termini di riduzione del dolore e ripristino della funzione, soprattutto come parte di un percorso terapeutico più complesso. Consiste in mobilizzazioni articolari di caviglia e piede e in trattamenti dei tessuti molli (massaggio trasverso del tricipite della sura, release miofasciale di gastrocnemi, soleo e fascia, etc). Le tecniche di fisiatria interventistica offrono grandi possibilità terapeutiche. La terapia infiltrativa può essere effettuata “manu medica” o con l’ausilio della guida ecografica, che permette di essere più accurati e precisi. Tra i farmaci iniettabili, vanno innanzitutto citati i corticosteroidi (eventualmente associati ad anestetici), che assicurano un contrasto immediato ed efficace del dolore e dell’infiammazione, rendendo il paziente più compliante anche ad altri trattamenti riabilitativi. Le infiltrazioni di PRP (Platelet-rich Plasma) presentano risultati molto promettenti. Taluni lavori scientifici ne attestano un’efficacia nel ridurre il dolore nel breve e medio termine sovrapponibile ai cortisonici. I trattamenti conservativi danno buoni risultati nella stragrande maggioranza dei casi (circa il 90%). Nei casi resistenti a tali trattamenti e fortemente disabilitanti per l’assidua ricorrenza, ai pazienti si possono suggerire opzioni chirurgiche. Un’integrazione frequente e utile dei trattamenti sopraindicati è l’utilizzo di tallonette morbide o, in casi più complicati, di plantari su misura che consentano da un lato di scaricare e detendere la fascia e dall’altro di correggere le deformità del piede che favoriscono l’insorgenza della fasciopatia.

RIFERIMENTI 1: Landorf KB, Menz HB. Plantar heel pain and fasciitis. BMJ Clin Evid. 2008 Feb 5;2008. pii: 1111. Review.  2: Kim SK, Ioannidis JPA, Ahmed MA, Avins AL, Kleimeyer JP, Fredericson M, Dragoo JL. Two Genetic Variants Associated with Plantar Fascial Disorders. Int J Sports Med. 2018 Apr;39(4):314-321. 3: Kirkpatrick J, Yassaie O, Mirjalili SA. The plantar calcaneal spur: a review of anatomy, histology, etiology and key associations. J Anat. 2017 Jun;230(6):743-751. 4: Tu P, Bytomski JR. Diagnosis of heel pain. Am Fam Physician. 2011 Oct 15;84(8):909-16. Review.  5: Fraser JJ, Corbett R, Donner C, Hertel J. Does manual therapy improve pain and function in patients with plantar fasciitis? A systematic review. J Man Manip Ther. 2018 May;26(2):55-65.  6: Sun J, Gao F, Wang Y, Sun W, Jiang B, Li Z. Extracorporeal shock wave therapy is effective in treating chronic plantar fasciitis: A meta-analysis of RCTs. Medicine (Baltimore). 2017 Apr;96(15): e6621. 7: Li Z, Xia C, Yu A, Qi B. Ultrasound- versus palpation-guided injection of corticosteroid for plantar fasciitis: a meta-analysis. PLoS One. 2014 Mar 21;9(3): e92671.  8: Yang WY, Han YH, Cao XW, Pan JK, Zeng LF, Lin JT, Liu J. Platelet-rich plasma as a treatment for plantar fasciitis: A meta-analysis of randomized controlled trials. Medicine (Baltimore). 2017 Nov;96(44): e8475. 9: Fallat LM, Cox JT, Chahal R, Morrison P, Kish J. A retrospective comparison of percutaneous plantar fasciotomy and open plantar fasciotomy with heel spur resection. J Foot Ankle Surg. 2013 May-Jun;52(3):288-90. 

Tratto da: https://www.fisiatriainterventistica.it/la-fascite-plantare/