Il dolore procedurale può essere considerato una variante del BTP (breakthrough pain), quindi un dolore episodico intenso che riesce a provocare uno scarto di almeno 3 punti rispetto al dolore di base. Nei pazienti in fase avanzata di malattia, il controllo del dolore costituisce uno degli obiettivi fondamentali del progetto di cura. Nella comune pratica clinica vengono effettuate frequenti procedure potenzialmente dolorose con finalità diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali. Indipendentemente dall’invasività della procedura e dal contesto clinico, il dolore procedurale dovrebbe essere valutato, prevenuto e trattato; tra le procedure più frequentemente associate a dolore si ricordano le medicazioni di ferite difficili, le medicazioni di piede diabetico, il posizionamento di devices vari. In letteratura ci sono pochi studi che analizzano il dolore procedurale nei pazienti adulti in fase avanzata di malattia.
E’ necessario, innanzitutto, individuare le caratteristiche del dolore indotto da procedure non chirurgiche in una popolazione adulta di pazienti critici, oncologici e non, assistiti in ambito ospedaliero e in cure palliative. la quotidianità di una persona che convive da tempo con una malattia severa è fatta di interventi medici ed infermieristici, prelievi, medicazioni, lavaggi a letto: ognuna di queste operazioni può essere dolorosa, può aggiungere sofferenza ad un corpo che ha già affrontato molte prove e che è fragile e indifeso. Oggi, tuttavia, sono molte le tecniche che consentono di evitare quello che viene definito dolore procedurale: alcuni farmaci sono in grado di aiutare il paziente a meglio sopportare quelle manovre apparentemente banali, come anche solo il girarlo nel letto o inserire un catetere o fare un prelievo, che possono però provocare dolori insopportabili a chi ad esempio abbia metastasi ossee o altri dolori legati alla malattia. Un altro capitolo importante è la somministrazione di farmaci nelle cure palliative, tenendo conto del fatto che la somministrazione per bocca in molti casi è resa difficile da condizioni dolorose come le mucositi legate anche alle terapie antiblastiche, o da difficoltà di deglutizione (anche la somministrazione sottocutanea o intramuscolare può essere impossibile a causa dello stato di deperimento del paziente). La via parenterale diventa uno strumento prezioso ed oggi si può far ricorso a due tecniche innovative, il PICC (o catetere venoso centrale) che viene applicato sotto guida ecografica ed elettrocardiografica per il posizionamento di un catetere nella vena cava superiore.

Le procedure più dolorose a cui può essere sottoposto un paziente, a prescindere dalla natura del dolore di base (oncologico o meno) sono:
- rotazione nel letto
- inserimento catetere venoso centrale
- emogasanalisi
- posizionamento SNG
- rimozione drenaggio chirurgico
- sostituzione medicazioni
- aspirazione endotracheale
- posizionamento catetere femorale
- medicazioni
- cure igieniche
- seduta di radioterapia
- mobilizzazione
- controllo glicemia
- accessi venosi di qualsiasi tipo
- trasferimento letto-carrozzina e viceversa
- cambiamenti posturali
- gestione drenaggi
- gestione cannula tracheostomica
Gli effetti del dolore da procedura sono numerosi: fisici, emozionali, comportamentali, cognitivi e psicologici. Tali fattori producono ansia, paura, imbarazzo, incapacità a concentrarsi e, infine, sfiducia nell’operatore sanitario.

Per tutti gli interventi procedurali bisognerebbe considerare i seguenti principi generali:
- riconoscere l’esistenza del dolore procedurale
- evitare quando possibile i fattori scatenanti
- utilizzare quando possibile agenti che riducono il dolore
- evitare manipolazioni non necessarie
- evitare pressione eccessiva della medicazione
- valutare il comfort dell’intervento
- prendere in considerazione tecniche non farmacologiche
- riconsiderare le scelte nella gestione del dolore