Tratto da:
IL DOLORE POSTOPERATORIO
FISIOPATOLOGIA E PROTOCOLLI TERAPEUTICI
F. PAOLETTI, #A.F. SABATO, A. BOANELLI, *G. SERAFINI
1.1 INTRODUZIONE
Il dolore acuto è di solito associato ad una precisa malattia o trauma ed è previsto che sia limitato al tempo necessario per riparare il danno. Il più caratteristico dolore acuto è considerato essere il dolore postoperatorio (DPO), anche se, qualora non adeguatamente trattato, questo può assumere le caratteristiche di un vero e proprio dolore cronico, è generalmente prevedibile e si caratterizza per la forte intensità e breve durata.
E’ variabile da soggetto a soggetto e nello stesso individuo nel tempo; questa variabilità non è solo funzione della patologia preesistente, della sede, del tipo e dell’importanza dell’intervento chirurgico ma anche, ed alle volte prevalentemente, funzione di quei fattori psicologici che la correlazione dolore-danno tissutale comporta. Tale correlazione è legata a molteplici aspetti culturali, religiosi, socio-economici, razziali ed è dipendente dalla storia stessa del paziente intesa come memoria del dolore passato e spesso i pazienti che devono essere sottoposti ad intervento chirurgico temono questo non per i rischi mortali che esso può comportare ma per la prospettiva del dolore al termine dell’anestesia.
Il DPO è inoltre da considerarsi come la forma più comune di dolore “patologico” nelle more della distinzione di Sherrington tra quest’ultimo ed il dolore “fisiologico”, che di norma permette l’attuazione di meccanismi locali di difesa e di riparazione. Il DPO comporta una costellazione di sgradevoli esperienze sensorie, mentali ed emozionali associate con risposte autonomiche, psicologiche e comportamentali dovute al danno chirurgico tali che impongono il suo trattamento, oltreché per evidenti ragioni umanitarie anche per le ormai innumerevoli dimostrazioni dei suoi effetti avversi che conducono ad un significativo aumento sia della morbilità come della mortalità.
Venendo meno il ruolo protettivo del “dolore fisiologico” (permettere cioè all’individuo di allontanarsi dalla fonte del danno e favorire con l’immobilità il recupero), le complesse risposte umorali da esso determinate (“dolore patologico”) che all’inizio favoriscono il mantenimento dell’omeostasi, quando eccessive e prolungate, provocano delle alterazioni organiche, psicologiche e comportamentali (ansia, insonnia, depressione etc.) che coinvolgono il paziente per lungo tempo dopo l’intervento e sono tali da risultare qualche volta fatali.
Evidenze di una ospedalizzazione più corta, di una diminuzione della morbilità e della mortalità sono state riportate in associazione con una efficace analgesia postoperatoria ed è per questo che è sempre più frequente l’istituzione di “Acute pain services”. Il fine di queste strutture è sì di migliorare il confort dei pazienti operati ma principalmente è quello di inibire gli impulsi nocicettivi indotti dal trauma e, attutendo le risposte riflesse autonomiche e somatiche dovute al dolore, migliorare quindi il recupero delle funzioni permettendo quindi al paziente di respirare, tossire e muoversi più facilmente riducendo infine le complicaze respiratorie, cardiovascolari e tromboemboliche.
2.1 FISIOPATOLOGIA
L’atto chirurgico dà origine ad una sequenza di eventi fisiopatologici diversi in rapporto alla sede, tipo ed entità del danno tissutale, sostenuti da alterazioni periferiche e centrali che comportano una alterazione e disregolazione della normale selettività o specializzazione del sistema somatosensoriale.
I meccanismi di queste perturbazioni sono multipli e complicati ma il dolore ha sicuramente una grande importanza su questi in funzione delle risposte riflesse periferiche, segmentarie, sovrasegmentarie e corticali da cui derivano quelle alterazioni endocrinometaboliche, respiratorie, cardiocircolatorie e psicologiche che di norma investono in maniera più o meno rilevante l’omeostasi del paziente operato.
2.2 Risposte periferiche
In funzione del tipo di chirurgia gli impulsi algogeni prendono origine da cute, muscoli, aponeurosi o visceri, infatti si producono alterazioni umorali con comparsa delle sostanze caratteristiche della risposta infiammatoria che provocano la cosiddetta iperalgesia primaria, circondata da una zona molto più ampia di iperalgesia secondaria.
Sostanze chimiche algogene vengono liberate o sintetizzate a livello dell’area sede del danno tissutale:
· potassio edistamina (H)che fuoriesconodal liquido intracellulare sono in grado di eccitare i nocicettori polimodali;
· l’acetilcolina, la serotonina (5HT)e l’adenosintrifosfatovengono liberate per la lesione cellulare e sono anche esse in grado di attivare o sensibilizzare i nocicettori;
· la bradichinina (BK),prodotta a livello della lesione dal chininogeno plasmatico per azione della callicreina, è una delle più potenti sostanze algogene ed attiva e sensibilizza i recettori polimodali;
· le prostaglandine (PG), sintetizzate dall’acido arachidonico per azione dell’enzima ciclo-ossigenasi, tra i più potenti ed ubiquitari mediatori dell’infiammazione, causano iperalgesia e sensibilizzano i nocicettori primari afferenti;
· i leucotrieni,anche questi derivati dall’acido arachidonico per azione dell’enzima lipo-ossigenasi, provocano iperalgesia;
· la sostanza P (SP),polipeptide presente nelle fibre afferenti amielinche che si libera durante la loro attività, è un potente vasodilatatore.
A livello del danno tissutale si ha un rilascio di ioni K e sintesi di BK e prostaglandine, nonché di leucotrieni e trombossani. Gli ioni K, le BK attivate e le PG sensibilizzano i nocicettori con l’attivazione delle fibre nervose afferenti primarie determinando, quindi, quella che viene definita iperalgesia primaria.
Tali impulsi nocicettivi non si propagano solo verso il midollo spinale ma anche su assoni collaterali dove viaggiano impulsi antidromici che determinano il rilascio di SP dalle terminazioni nervose e quindi vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare (edema) .
A questo punto il circolo vizioso è chiuso, infatti la vasodilatazione e l’alterata permeabilità capillare aumentano il rilascio di BK che stimola le afferenze primarie con liberazione di ulteriore SP (Fig.1). La SP inoltre stimola formazione di istamina dalle mast-cellule e di 5-HT dalle piastrine. La H e la 5-HT attivano anche esse le afferenze primarie con un ulteriore rilascio di SP e quindi un nuovo circolo vizioso è innescato. Gli stessi autacoidi inoltre attivano i nocicettori viciniori dando origine alla iperalgesia secondaria.
Questo incremento di attività simpatica può causare vasocostrizione, ischemia locale tissutale, aumento della concentrazione di idrogenioni (H+) e quindi ulteriore aumento nella sensi-bilità nocicettoriale.
L’infiammazione sembra svolgere un’altra importante funzione sulle terminazioni nervose periferiche, sembra esserci infatti una classe di fibre afferenti primarie non mielinizzate che normalmente non rispondono a stimoli meccanici o termici anche ad alta soglia ma che in presenza di infiammazione e quindi di sensibilizzazione chimica diventano responsivi e scaricano vigorosamente anche con stimoli normali.
Tali recettori che necessitano di ulteriore caratterizzazione sono stati identificati in numerosi tessuti e sono stati nominati “recettori silenti”.
In funzione di quanto detto la lesione di cute, muscoli, aponeurosi, foglietti peritoneali o pleurici nonché la sezione di terminazioni nervose periferiche determina una sensazione algica acuta e abbastanza ben localizzata alla quale, in determinate circostanze, si sovrappone quella molto meno definita legata alla attivazione dei meccano-nocicettori A dei muscoli lisci degli organi cavi.
2.3Risposte riflesse segmentarie
L’arrivo massivo di impulsi nocicettivi a livello del corno posteriore del midollo che si ha per la liberazione di neurotrasmettitori specifici, come l’ N-metil-D-Aspartato (NMDA), attiva e sensibilizza i recettori spinali.
La disregolazione di tali neuroni e l’abbassamento della loro soglia portano a fenomeni di reclutamento ed ipereccitabilità che si prolungano più dello stesso stimolo generante [13] tanto da far considerare il dolore postoperatorio come un vero e proprio dolore da deafferentazione.
Alcuni di questi neuroni avendo connessione con il corno anteriore e la colonna intermedio-laterale attivano i motoneuroni ed i neuroni pregangliari del simpatico innescando sia risposte riflesse motorie con spasmo e contrattura sia una risposta simpatica con vasodilatazione cutanea e vasocostrizione muscolare e viscerale.
I risultati saranno quindi risposte riflesse che dipendono dalle interconnessioni del sistema simpatico e somestesico e che sono sotto controllo dei centri sovrasegmentari.
Tali risposte riflesse sono:
cutaneo-somatiche (una stimolazione cutanea provoca contrattura muscolare e vasodillatazione cutanea);
somato-somatiche (una stimolazione nocicettiva muscolare provoca contrattura e vasocostrizione del muscolo stesso quindi ischemia e dolore);
somato-viscerali (una stimolazione a livello somatico determina vasocostrizione viscerale ed aumento dell’attività simpatica, rallentando quindi la motilità viscerale in alcuni casi sino all’ileo o alla paresi vescicale);
viscero-viscerale (la stimolazione viscerale provoca vasocostrizione viscerale e contrattura con sintomatologia algica riferita in zone distanti iperestesiche).
2.4 Risposte riflesse sovrasegmentarie
Gli impulsi afferenti periferici non solo danno luogo a variazioni di risposta persistenti nei neuroni preposti alla ricezione periferica ma anche in alcune popolazioni neuronali che si proiettano centralmente determinando la cosiddetta sensibilizzazione centrale.
La risposta dell’ipotalamo, che riceve afferenze attraverso le vie paleospinotalamiche, agli impulsi nocicettivi consiste nella liberazione di ACTH con conseguente aumento degli ormoni catabolizzanti (cortisolo, glucagone, aldosterone, GH e catecolamine), inibizione degli anabolizzanti (testosterone ed insulina) e liberazione di ADH a partire dalla neuroipofisi.
Da quanto detto deriva la cosiddetta “reazione metabolica allo stress chirurgico” che dà origine all’iperglicemia, all’aumento dell’AMP ciclico e degli acidi grassi liberi, dei lattati e dei corpi chetonici, con aumento del consumo di ossigeno e negativizzazione del bilancio azotato.
2.5 Risposte corticali
La percezione dolorosa cosciente si ha non appena gli imput nocicettivi raggiungono la corteccia, ed è mediata da una molteplicità di fattori fisici e psicologici tali dà renderla estremamente variabile da individuo ad individuo.
La coscienza del danno, determinata dai messaggi algici, innesca una serie di meccanismi mediati dalla pregressa esperienza personale e dalle caratteristiche della personalità tali da condizionare le reazioni affettivo-emozionali e motorio-vegetative del paziente.
Pertanto l’ansia, la depressione e l’emotività che possono essere causa ed effetto di un particolare stato psicologico postoperatorio legati ad altri fattori quali la cultura, la razza, il sesso, l’età, la patologia pregressa, l’aspettativa di guarigione e, non ultimo, l’informazione ottenuta, concorrono a modulare il dolore avvertito dopo un intervento chirurgico ed a condizionare spesso l’esito di quest’ultimo.
3.1 DOLORE POSTOPERATORIO E NOCICEZIONE
L’atto chirurgico ed il periodo postoperatorio sono caratterizzati da perturbazioni neuroendocrine, respiratorie, cardiovascolari e metaboliche importanti e prolungate, i meccanismi sono, come detto, multipli e complicati ma il dolore ha sicuramente una grande importanza su questi, infatti la dimostrazione della sua implicazione passa per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti antalgici.
Numerosi studi hanno valutato l’effetto di differenti tecniche antalgiche, in particolar modo l’analgesia peridurale, sulle modificazioni endocrine, cardiorespiratorie e metaboliche osservate dopo l’intervento chirurgico.
La chirurgia addominale e toracica s’accompagna ad una perturbazione prolungata della cinetica diaframmatica e frequentemente ad atlettasie declivi che sono responsabili di ipossia e di sovrainfezioni. Molti studi hanno dimostrato che l’analgesia peridurale con anestetici locali può migliorare le variazioni postoperatorie della CV, della FRC e della funzione diaframmatica diminuendo, quindi, l’incidenza delle complicanze respiratorie specie se le afferenze toraciche sono bloccate sino a D4.
Nonostante sia stato ugualmente dimostrato che una buona analgesia diminuisce l’incidenza di trombosi venose degli arti inferiori e di ischemia miocardica in pazienti a rischio, una diretta correlazione tra intensità del dolore postoperatorio e modificazioni cardiocircolatorie è stata supposta ma non sicuramente chiarita essendo numerosi i fattori che possono portare a tali alterazioni .
L’azione preventiva o terapeutica dell’analgesia peridurale non implica obbligatoriamente che l’effetto osservato sia legato al blocco delle vie nocicettive ed infatti “non è realistico pensare che l’abolizione del dolore possa di per sé abolire la risposta endocrina allo stress chirurgico”.
Comunque, il dimostrato effetto benefico del trattamento analgesico sulla morbilità e mortalità postoperatoria rappresenta un presupposto essenziale per giustificare le tecniche di analgesia impiegate ed il loro costo economico, a prescindere da quelli che sono i razionali fisiopatologici.
E’ evidente, però, come il dolore sia solo una componente, sia pur importante, di tutte quelle numerosissime alterazioni biochimiche, fisiopatologiche e psicologiche che intervengono durante e dopo un’operazione chirurgica e che compongono la cosiddetta nocicezione.
3.2 CONCLUSIONI
L’incidenza e l’intensità del dolore postoperatorio dipendono da più fattori che si possono indicativamente suddividere in tre grandi “variabili”: il paziente stesso, il tipo di chirurgia ed il tipo di trattamento anestesiologico-antalgico utilizzato[21-22]. Per quanto concerne il paziente, le differenze culturali, sociologiche e di personalità rendono conto di variazioni importanti del dolore postoperatorio e della mutevole necessità di analgesici tra un paziente ed un altro.
Il paziente ansioso e depresso ha infatti una richiesta di farmaci analgesici maggiore di quello calmo e tranquillo.
Fenomeni farmacodinamici, farmacocinetici e biologici possono spiegare questa variabilità interindividuale. Anzi una correlazione negativa può essere dimostrata tra il bisogno postoperatorio di analgesici e la concentrazione di endorfine e di noradrenalina nel liquido cefalo rachidiano.
Le variazioni del dolore in funzione del sesso e dell’età sono più discutibili, in particolare è ormai ben stabilito che i bambini soffrono più degli adulti ma ciò è legato più ad una difficoltà di conoscenza che ad una differenza di intensità.
Anche se il dolore non è legato direttamente alla gravità o all’importanza dell’atto chirurgico questo produce nell’organismo un insulto bifasico che ha implicazioni sul trattamento del dolore stesso.
Durante l’intervento il trauma tissutale genera un barrage di impulsi nocicettivi e nelle ore successive la risposta infiammatoria al trauma è anch’essa responsabile di generazione di impulsi nocicettivi.
Ambedue questi processi risultano in una sensibilizzazione delle vie del dolore sia a livello periferico dove si assiste ad un abbassamento della soglia dei nocicettori afferenti (sensibilizzazione periferica) che a livello centrale con un aumento della eccitabilità dei neuroni coinvolti nella trasmissione del dolore (sensibilizzazione centrale).
A livello periferico il rilascio e la sintesi di numerosi mediatori chimici, la “zuppa sensibilizzante” degli Autori anglosassoni, sensibilizza i nocicettori ad alta soglia pertanto anche stimoli che in condizioni di normalità non produrrebbero dolore sono percepiti come dolorosi. Tutti questi eventi che conseguono al danno tessutale sono quindi definiti come “sensibilizzazione periferica”.
Il dolore è trasmesso dalla periferia al primo relais nel midollo spinale attraverso i nocicettori efferenti primari , fibre mielinizzate Ad a veloce conduzione e fibre C a lenta conduzione. Gli imput nocicettivi così condotti, quando eccessivamente prolungati, provocano cambiamenti a livello del corno dorsale che si evidenziano clinicamente con allodinia ed iperalgesia secondaria.
Il S.N.C. in presenza di dolore, non è statico ma plastico, infatti è dimostrato che il barrage di stimoli nocicettivi, che si hanno durante e dopo la chirurgia, tali da attivare le fibre C non solo attivano il corno poste-riore ma incrementano l’attività neuronale progressivamente con il prolungarsi dello stimolo, non esiste quindi una semplice relazione stimolo-risposta ma una risonanza (“wind-up”) dell’attività neuronale del midollo spinale. Tale evento rende i neuroni più sensibili ad altri impulsi e contribuisce a variazioni morfologiche e biochimiche nel corno dorsale che possono essere estremamente difficili da rimuovere.
Alcuni altri cambiamenti nel corno posteriore caratterizzano la “sensibilizzazione centrale”:
· espansione del campo recettoriale, così che un neurone spinale risponderà a stimoli che di norma dovrebbero essere al di fuori della regione interessata;
· aumento in ampiezza e durata della risposta a stimoli che sono sopraliminari;
· diminuzione della soglia così che stimoli di norma non dolorosi risultano essere tali.
Per ultimo un notevole numero di neurotrasmettitori e di neuromodulatori sono stati identificati essere coinvolti nella trasmissione del dolore a livello del corno posteriore ed inoltre è dimostrata la presenza di un largo numero di recettori pre e post sinaptici a livello delle terminazioni delle fibre nocicettive afferenti primarie.
Dalle considerazioni fin ora esposte possono essere tratti i presupposti sui quali si basano i protocolli terapeutici attualmente utilizzati nel trattamento e nella prevenzione del dolore postoperatorio ma si possono anche presupporre le possibilità future in funzione delle ricerche farmacologiche e biomediche attualmente in atto.
4.1 PROTOCOLLI TERAPEUTICI
Quando si applicano i principi di fisiopatologia del dolore acuto nella pratica clinica è necessario aver presenti le 10 “C”:
1) Conoscere bene l’epidemiologia e le problematiche legate al controllo del “DPO”. 2) Conoscere bene le tecniche perimidollari, 3) Conoscere la fisiopatologia del dolore postoperatorio anche in relazione al tipo di anestesia (Anestesia generale, locoregionale, combinata) e del tipo di analgesia utilizzata. 4) Conoscere i farmaci utilizzati per il controllo del dolore postoperatorio, dose carico, frequenza di somministrazione, dosi equivalenti, dosi Kg/h,: soprattutto degli oppiacei, FANS e anestetici locali. 5) Conoscere le apparecchiature elettroniche impiegate per il controllo del DPO 6) Conoscere il gradimento del reparto chirurgico in cui si opera nei riguardi delle varie tecniche di analgesia. 7) Conoscere le dinamiche psicologiche correlate all’intervento e al dolore e saperle riconoscere nel paziente 8) Conoscere le proprie capacità e possibilità a realizzare un piano ottimale e realistico per il controllo del dolore postoperatorio basato anche sulle preferenze del paziente e del suo stato mentale. 9) Conoscere la struttura in cui si opera 10) Conoscere i costi/benefici delle varie tecniche.
Gli obiettivi primari da raggiungere sono: a) mitigare o eliminare la sofferenza; b) accellerare il recupero paziente nel periodo immediatamete successivo all’anestesia; c) evitare o controllare gli effetti negativi legati all’intervento e alla terapia impiegata; d) Realizzare una terapia valida nel controllo del dolore e anche dal punto di vista costi/benefici. Attualmente non c’è nessuna metodica analgesica che abbia tutte queste caratteristiche, comunque i vari trattamenti che attualmente si conoscono se applicati correttamente possono raggiungere quasi sempre dei risultati soddisfacenti.
Per realizzare un buon piano di lavoro, vanno considerati vari fattori:
1) farmacologici, 2) clinici, 3) correlati al paziente, 4) organizzativi, e 5) scelta del tipo di analgesia.
4.1.1 Fattori Farmacologici – Prima di realizzare un servizio di terapia del dolore postoperatorio un certo gruppo di anestesisti deve specializzarsi nelle tecniche di analgesia periferica, deve conoscere bene la farmacologia degli anestetici locali, degli -agonisti, degli oppiacei somministrati sia per via parenterale che perimidollare, degli antagonisti degli oppiacei e degli antinfiammatori non steroidei (FANS).
4.1.2 Fattori Clinici – E’ noto che certa chirurgia produce più dolore che altra. Ad esempio l’incisione che coinvolge le parti alte dell’addome o del torace generalmente è più dolorosa. Chi si interessa di questi problemi deve conoscere tali differenze anche nel caso di un confronto. E’ noto, inoltre, che un protocollo PCA (Patient Controlled Analgesia) con oppiacei non può essere confrontato con un protocollo che prevede la somministrazione di farmaci analgesici per via epidurale (EA = Epidural Analgesia). La PCA è certamente superiore alla somministrazione intramuscolare di analgesici, ma la EA realizza sicuramente un maggiore controllo del dolore, e ciò può essere di grande importanza in certi tipi di chirurgia come quella toracica, o in pazienti con fratture costali o interventi chirurgici che coinvolgono sia l’addome che il torace. La PCA endovenosa però ha il vantaggio di non prevedere il posizionamento di un catetere epidurale, cosa che non è sempre possibile anche per ragioni di tempo, e inoltre può essere impiegata anche in soggetti con coagulopatie. La EA con soli oppiacei al contrario spesso non è realizzabile nei soggetti che hanno sviluppato una tolleranza agli oppiacei, anche se in questi casi può essere integrata con gli anestetici locali.
4.1.3 Fattori correlati al Paziente-Va a tal proposito ricordato che ogni paziente è un “unicum” e si porta dietro delle variabili quali, cultura, scolarità, paure, precedenti esperienze, tolleranza, ipersensibilità o allergie a farmaci e altro che possono talora modificare notevolmente la risposta ad un certo tipo di trattamento.
4.1.4 Fattori Organizzativi– Per ben realizzare un trattamento del dolore postoperatorio l’istituzione nella quale si opera deve pianificare il problema organizzando un servizio che così diventa essenziale, inoltre si deve ottimizzare la sicurezza del paziente che talora può essere sottoposto a trattamenti relativamente sofisticati.
Persone | Responsabilità |
Anestesista del modulo di terapia del dolore | Responsabile del servizio di dolore acuto e dell’aggiornamento di tutto l’ospedale |
Anestesista di sala operatoria di un certo reparto chirurgico | Responsabile del servizio nelle varie specialità chirurgiche (Ch. generale, Ortopedia, Urologia etc) |
Chirurgo di reparto | Formalmente responsabile che venga realizzato il trattamento del dolore |
Infermiera di giorno e di notte del reparto chirurgico | Responsabile delle dosi implementari di farmaco,se necessarie, e del monitoraggio del paziente. |
Infermiera preparata “Nurse anesthetist”, “acute pain nurse” | – Ogni giorno gira nei reparti chirurgici- Controlla i protocolli- Aiuta se ci sono problemi tecnici- Riferisce i problemi al responsabile del modulo |
Un problema emergente in questi ultimi anni è anche quello della spesa, che spesso non è prevista specificatamente dal Servizio Sanitario per tutti i vari tipi di analgesia postoperatoria. Sicuramente l’impiego di microinfusori programmabili PCA è alquanto costoso, come anche l’impiego sistematico di apparati elastomerici. Ma le amministrazioni competenti devono essere portate a conoscenza, mediante un’opera costante di informazione, quanto la mancata realizzazione di un servizio di analgesia postoperatoria porti ad un aumento della spesa in quanto si allungano sicuramente i tempi di degenza postoperatoria. Un’altro aspetto riguarda l’uso di farmaci analgesici, deve essere noto che spesso impiegare degli oppiacei costa meno di altri farmaci, così come inferiori sono percentualmente gli effetti indesiderati.
Sicuramente è importante avere del personale infermieristico che sia motivato e soprattutto preparato nei problemi riguardanti l’analgesia postoperatoria e che gli anestesisti di guardia abbiano una buona preparazione non solo riguardo l’analgesia p.o. ma devono ben conoscere i protocolli che vengono attuati in quel momento.
4.1.5 Scelta del Tipo di Analgesia da Praticare
Per fortuna la maggior parte dei pazienti presentano un dolore forte per un breve periodo e un dolore medio-lieve per le prime 24-36 h post-op. In questi pazienti il paracetamolo o acetaminofene (suppositori) il propacetamolo (e.v.) o i FANS (i.m. o e.v.) somministrati ad orario possono controllare con una certa sicurezza il dolore. Vanno comunque privilegiati i trattamenti “pre-emptive”, all’inizio o a fine intervento, che impedirebbero la formazione della memoria del dolore a livello spinale con conseguente riduzione del consumo di farmaci.
Le tecniche più sofisticate, PCA o EA, devono essere invece realizzate i quei pazienti per i quali è previsto un decorso post-operatorio con dolore forte-severo, o quando è già presente un catetere epidurale, associate o meno a tecniche regionali continue o singole, quali il plesso brachiale o lombare o femorale se la zona interessata è appropriata. Riguardo l’analgesia peridurale continua, negli ultimi 10 anni è stata più volte proposta l’analgesia mediante oppiacei, anche se secondo Breivik ottimale è l’associazione anestetici locali, oppiacei e adrenalina.
Sicuramente l’analgesia epidurale è maggiormente valida nei soggetti ad alto rischio rispetto alla PCA con oppiacei anche se spesso non può essere realizzata in pazienti con problemi coagulativi o infezioni locali, inoltre tale tecnica sfortunatamente è legata a molti problemi tecnici che non ne permettono una buona riuscita nel 10-25% dei casi.
La PCA e.v. con oppiacei rimane la tecnica alternativa migliore quando non è possibile realizzare una analgesia peridurale, e nei pazienti a più basso rischio può essere più appropriata rispetto alla tecnica peridurale più invasiva e complicata.
4.2 GLI ANALGESICI NON OPPIACEI
In attesa di nuovi FANS bloccanti specifici della Ciclossigenasi II (COX2 o PGH Synthase II), deve essere noto che queste sostanze sono delle miscele racemiche (R/S) e che spesso somministrate in ambienti diversi modificano la loro struttura (RS) divenendo più o meno efficaci, inoltre il rapporto di azione COX1/COX2 non è uguale per tutte le sostanze e ciò spiegherebbe le maggiori o minori azioni avverse (G.I., renali, epatiche etc.). Anche l’interazioni farmacologiche vanno conosciute: ad es. il ketorolac somministrato durante l’intervento può prolungare l’azione dell’Atracurium, Mivacurium, Pancuronium, Rocuronium e
IMPIEGO DEGLI ANALGESICI NON OPPIACEI |
Evitarne l’impiego in pz. con coagulopatie, nefropatie, gastropatia, ipovolemia e nella chirurgia ad alto rischio Impiegare una dose minima per il tempo minimo necessario |
Registrare su di un cartellino tenuto vicino al letto del paziente il VAS ogni 3-6 ore. Ciò può essere sospeso se il VAS è < 3 dopo 3 volte consecutive. |
Se non ci sono controindicazioni somministrare nel paziente adulto ogni 6 ore 1g di paracetamolo per via rettale o di 2 g di propacetamolo in 100 ml di SF in 15 min. dopo aver valutato il VAS. La dose-risposta in pediatria del paracetamolo per il DPO non è nota, la dose rettale consigliata di 10 mg/Kg è sicuramente bassa, quella rettale equivalente a 1 mg/Kg e.v. di Ketorolac è di 35 mg/Kg.[54] Nell’adulto in sostituzione si può somministare ogni 8 ore: Ketorolac 30 mg i.m./e.v. (Pediatria 0.2-0.5 mg/Kg/6h/48h)- Diclofenac 100 mg i.m./e.v. -Ketoprofene 100 mg i.m./e.v. – Acetilsalicilato di lisina 1000 i.m./e.v. |
Per quanto riguarda il Ketorolac la dose carico di 1 mg/Kg nell’adulto non è necessaria, inoltre la differenza tra dosi di 30-60-90 mg è minima. |
Se il VAS > a 3 implementare con 50-100 mg di Tramadolo i.m.(o x os), oppure con 7.5-10 mg di morfina i.m. (ridurre il dosaggio del 25-50% nell’anziano, nelle donne di piccola statura e nel paziente defedato). Rivalutare il VAS dopo 45 min dopo la somministrazione di Tramadolo o morfina. Se il VAS è ancora > 3 somministrare un’altra dose di oppiaceo pari al 50% della dose precedentemente somministrata. L’indicazione al Tramadolo è assoluta ove non ci sia la possibilità di un buon monitoraggio e nei pazienti con funzione respiratoria compromessa. |
Se dopo la seconda dose di oppiaceo il VAS è ancora superiore a 3 contattare immediatamente l’anestesista di guardia. |
Studi controllati hanno dimostrato che la somministrazione di FANS nel breve periodo postoperatorio non provoca assolutamente una riduzione della funzione renale come invece avviene nei trattamenti cronici. Per quanto concerne invece il Ketorolac negli USA è da tempo in uso l’impiego di una dose di carico di 60 mg e dosi successive di 30 mg, in altre nazioni l’impiego è stato utilizzato con successo a dosaggi notevolmente minori.
4.3 PCA
Il farmaco analgesico più utilizzato è la morfina, ma si possono impiegare anche altri farmaci oppiacei (Buprenorfina, Meperidina, Tramadolo) a dosi equianalgesiche.
FARMACO | LOADING DOSE | DEMAND DOSE | LOCK-OUT |
Morfina | 2-10 mg | 0.5-2 mg | 5-10 min |
Meperidina | 20-75 mg | 5-30 mg | 5-15 min |
Buprenorfina | 2 g/Kg | 30g | 5 min |
Fentanest | 50g | 10g | 15 min |
Tramadolo | 50-100 mg | 18.52 mg | 1 min |
Per un paziente adulto un buon protocollo può essere:
DOSE CARICO: può non essere somministrata, se viene somministrata va iniettata dopo 15-30 min dalla fine dall’intervento nella sala di risveglio o in reparto onde ottenere una minima dose analgesica plasmatica (Es. Morfina 2-10 mg )
DOSE BOLO: morfina 0.52 mg (1.5-1 o 0.5 mg se il soggetto è un anziano o una piccola donna); la PCA deve essere attivata quando il paziente è sufficientemente conscio e cooperante. Si può iniziare con una dose di 1 mg aumentandola o riducendola successivamente di 0.5 mg in base alla risposta.
INTERVALLO LOCK-OUT: 8 minuti (510 min)
NUMERO MASSIMO DI DOSI SOMMINISTRATE IN UN ORA : 4 dosi (pari a 4-8 mg/h).
INFUSIONE CONTINUA ASSOCIATA: No! Attualmente non viene considerata nei protocolli più comunemente impiegati, infatti si è visto che tale metodica non solo non riduce la quantità totale di analgesico somministrata, ma aumenterebbe il rischio di tolleranza, effetti indesiderati e depressione respiratoria. Attualmente è rimasta solo nei protocolli di PCA negli adolescenti, a tal proposito si possono impiegare dosi di morfina di 10 g/Kg/h in infusione continua, associata a 4 boli/h di 15g/Kg.
DOSE MASSIMA o BLOCCO a 4-8h: non è corretto fissare a priori una dose massima di consumo,[50], ma con un dosaggio libero c’è l’ipotetico rischio di overdose nei pazienti con basso livello di dolore, e al contrario, con un dosaggio massimo fissato, di analgesia inadeguata nei pazienti con dolore elevato.
SCELTA DELL’ANALGESICO: un analgesico ideale dovrebbe avere un onset time rapido, una durata di azione intermedia, assenza di effetti indesiderati o di interazioni farmacologiche avverse, assenza di accumulo (basso “contest sensitive half time”). Un tale farmaco non esiste in commercio.
CONTROINDICAZIONI: La PCA deve essere esclusa nei pazienti che non possono collaborare, o per problemi fisici o psichici, riguardo i tosssicodipendenti non c’è ancora accordo, come anche per quanto concerne i bambini, a tal proposito quasi tutti sono d’accordo nell’impiego sicuro in soggetti di età superiore a 8-10 anni.
SVANTAGGI: Lo svantaggio più grande è se viene soministrato un bolo elevato (vero o relativo) infatti il 10% dei pazienti può presentare nausea o vomito dopo la somministrazione del bolo, in questi casi si può ridurre la dose bolo, aumentando il numero di dosi/h per raggiungere la stessa quantità/ora.
Se si vuole ridurre il dosaggio di oppiacei, riducendo così l’incidenza di sedazione, o implementare la PCA per un dolore improvviso, si può somministrare del paracetamolo 1000 mg ogni 6-8 ore per via rettale, orale o per via endovenosa o del propacetamolo e.v., attualmente disponibile anche in Italia (Postoperative Balanced Analgesia). Va ricordato che il paracetamolo per via orale e rettale ha un minore effetto e durata rispetto ai FANS quali il diclofenac, piroxicam, naprossene , ketorolac e allo stesso propacetamolo. I FANS dovrebbero essere somministrati solo se non si riesce a controllare il dolore con il paracetamolo e non ci sono problemi di coagulazione, renali o atopia. C’è stato anche un tentativo di proporre il ketorolac quale farmaco da impiegare in PCA, ma sicuramente ha un’azione inferiore del 30% (VAS) rispetto agli oppiacei. Un altro impiego del ketorolac è quello di realizzare una pre-emptive analgesia somministrandolo prima della fine dell’intervento.
LINEE GUIDA PER PCA |
FARMACO: Morfina (1 mg/ml o 2 mg/ml) |
DOSE CARICO (Load dose): calcolata nel periodo postoperatorio sul VAS (3 o >3). non da tutti gi AA consigliata. |
DOSE BOLO: 1-1.5 -2mg (dipende dal tipo di chirurgia, stato ASA etc) |
LOCK-OUT INTERVAL: 6-8 min |
MONITORAGGIO: frequenza respiratoria, livello di sedazione (04) e VAS ogni 2 ore le prime 6h e poi ogni 4h |
L’intensità del dolore può essere valutata mediante il VAS oppure mediante uno score verbale in 5 livelli (05) con il paziente a riposo o dopo un colpo di tosse. |
Somministrare O2via nasale o via maschera 2 L/min per 24h post-op |
Se la FR e <10 o il livello di sedazione 4 somministrare 0.4 mg di Naloxone e.v. e chiamare l’anestesista di guardia |
Se si impiegano boli elevati di morfina (>2 mg, il paziente deve essere inviato in un ambiente dove può essere monitorizzato per le prime 6 ore |
Il VAS deve essere valutato ogni 3 ore e il pz può uscire dal protocollo di trattamento se il VAS è < 3 per almeno 3 volte consecutive. |
In caso di analgesia inadeguata o problemi legati alla PCA avvertire una infermiera esperta in problemi di “dolore acuto” o l’anestesista di guardia. |
Per il Tramadolo/PCA viene consigliata anche una infusione continua di 2.2 mg/h e un blocco ad 1h di 192.6 mg[38]. Quando si impiega la meperidina va ricordato che la meperidina può avere un’azione eccitatoria sul SNC, causata dal suo metabolita la normeperidina, azione che non è antagonizzata dal naloxone.
Per quanto concerne le apparecchiature elettroniche, quasi tutti i sistemi PCA sono validi, ma è importante che nel parco che si utilizza in ospedale ce ne sia almeno uno abbia la possibilità di essere collegato ad una stampante, o abbia all’interno una memoria che può essere letta sul display, infatti è attraverso il rapporto tra chiamate effettuate e quelle effettivamente somministrate che si possono valutare e confrontare due protocolli PCA.
4.4 ANALGESIA PERIDURALE
L’analgesia spinale può essere realizzata attraverso 3 meccanismi che agiscono inibendo la trasmissione e/o l’eccitazione assonale e sinaptica mediante l’impiego di:
a) basse dosi di anestetico locale;
b) agonisti dei recettori per gli oppiodi;
c) agonisti dei recettori adrenergici.
Gli ultimi due agonisti aumentano l’inibizione della trasmissione sinaptica dell’impulso nocicettivo. Tutte e tre i meccanismi sono tra di loro sinergici e possono essere impiegati insieme. La combinazioni di farmaci appartenenti a queste tre categorie provocano una potente analgesia spinale con il vantaggio di utilizzare piccole dosi che da sole non riuscirebbero mai a realizzare.
La somministrazione di bupivacaina 10 mg/h insieme a morfina 0.2 mg/h è stata per lungo tempo comunemente impiegata con il risultato di ottenere una buona analgesia, ma con tali dosi si può avere l’effetto indesiderato di realizzare in una elevata percentuale di casi: nausea, prurito, ritenzione urinaria e ipotensione.
Una miscela accettabile è quella di impiegare bupivacaina 0.6-1 mg/ml (0.0625%- 0.1%), fentanyl 2 g/ml e adrenalina 2 g/ml, infusa alla velocità di 4-10 ml/h in un catetere epidurale sito a livello lombare o toracico. Con questa miscela la stabilità cardiocircolatoria è buona e non c’è rischio di depressione respiratoria (grazie anche all’impiego di un oppiaceo liposolubile quale il fentanyl), la nausea scende a livelli inferiori al 5% ed anche il blocco motorio che con tale tecnica si può provocare è molto lieve, raro e di breve durata (soprattutto nelle prime ore). Quando si raggiunge un buon livello analgesico, se si impiega una pompa per l’infusione continua, il dosaggio ottimale è di 4 ml/h. L’infusione epidurale può essere realizzata mediante pompe infusionali, sistemi PCA o mediante sistemi elastomerici appositamente realizzati. Va ricordato che riducendo la concentrazione dell’anestetico locale si riduce l’analgesia e anche il gradimento dei pazienti alla metodica, se si utilizzano alti volumi questi provocano alto rischio di aumentare la percentuale di blocco motorio. Da alcuni anni sono stati realizzati dei protocolli che utilizzano il principio della PCA a livello della EA, tale metodica è detta Patient Controlled Epidural Analgesia o PCEA. Se impiega un sistema PCEA (Patient Controlled Epidural Analgesia) si riduce certamente l’incidenza di blocco rispetto all’infusione epidurale continua e si riduce anche l’incidenza di complicanze.
% PersoneAssenza di blocco + bl. parziale | PCEABupivacaina0.125% | PCEABupivacaina 0.0625% | Elastomero 2mlBupivacaina0.125% | Elastomero 2mlBupivacaina0.0625% | Elastomero 5mlBupivac.0.0625% |
Fine interv. | 89 | 91 | 83.4 | 80 | 100 |
4° ora | 52.2 | 28.26 | 45.1 | 41.66 | 41.6 |
6° ora | 15.2 | 2.2 | 15.9 | 16.66 | 24.9 |
8 ora | 2.2 | 0.0 | 8.8 | 2.7 | 8.3 |
Complicanze | 10.87 | 23.9 | 23.78 | 7.89 | 21.06 |
% richiesta di FANS | 16.27 | 27.50 | 30.40 | 79.90 | 77.70 |
Gradimento | 82.52 | 63.05 | 86.25 | 76.06 | 78.92 |
Ottimo + buono |
I farmaci oppiacei somministrati per questa via hanno un’azione sia diretta spinale che sistemica. La quantità di morfina PCEA comparata con quella PCA e.v. è circa l’80% di meno, mentre la quantità di meperidina si riduce solo del 30% rispetto a quella somministrata per via endovenosa PCA[30]. Dato che per questa via l’azione del farmaco è legata anche alle caratteristiche di liposolubilità sono stati impiegati soprattutto il Fentanyl e il Sufentanil, associati agli anestetici locali. Nella tabella precedente sono riportati i dati relativi a 219 pazienti trattati mediante analgesia peridurale con 2 concentrazioni di bupivacaina (0.125% e 0.0625%) e 3 diversi metodi di infusione (PCEA, Elastomero 2 ml/h, Elastomero 5 ml/h).
Se è vantaggioso somministrare oppioidi liposolubili (Fentanyl, Sufentanil) per via epidurale è ancora controverso. E’ certo che un bolo di Fentanyl o Sufentanil provoca una analgesia superiore alla stessa dose e.v., anche se la durata è relativamente breve (2-4 ore). Molti studi affermano che questi oppioidi per via epidurale non abbiano un ruolo nel D.P.O. Inoltre la dose spinale, la concentrazione plasmatica, l’analgesia e gli effetti indesiderati sono quasi gli stessi se queste sostanze (Fentanyl, Sufentanil, Alfentanil, Butorfanolo) sono somministrate per via endovenosa o spinale. Secondo Scott questa associazione ha un reale ruolo nell’analgesia post-op con un rischio basso e poche complicazioni. La meperidina può essere più attiva per via spinale che e.v., ma, per via epidurale il dosaggio è ridotto solo del 25%. In teoria le sostanze liposolubili dovrebbero assolutamente essere somministrate metamericamente perchè non hanno diffusione e di contro si perderebbe la loro efficacia. Ma per Bouchard per quanto concerne il livello di somministrazione di questo tipo di oppiacei sarebbe poco il vantaggio di una somministrazione toracica respetto a quella lombare dopo toracotomia.
OPPIACEI PER VIA PERIDURALE: LINEE GUIDA |
FARMACO: Morfina 0.4 mg/ml |
DOSE: 4 mg quando il VAS >3 (dose inferiore negli anziani e nei pz defedati) |
MONITORAGGIO: dopo ogni rifornimento valutare la F.R. e la sedazione (04) ogni 30 min le 3 ore successive e poi ogni ora per le 10 ore successive |
RITENZIONE URINARIA: Se il pz non ha urinato le successive 6 ore post-op va cateterizzato |
Se la FR e <10 o il livello di sedazione 4 somministrare 0.4 mg di Naloxone e.v. e chiamare l’anestesista di guardia |
Mantenere un accesso venoso per almeno 12 ore dopo l’ultima dose di morfina somministrata per via epidurale |
Terminato il trattamento il VAS deve essere valutato ogni 3 ore e il pz può uscire dal protocollo di trattamento se il VAS è < 3 per almeno 3 volte consecutive. |
In caso di analgesia inadeguata o problemi legati alla metodica avvertire l’anestesista di guardia. |
Un nuovo anestetico locale la ropivacaina è da alcuni anni in studio avanzato, la sua
migliore concentrazione per la analgesia epidurale post-op pare sia dello 0.2%.
Per quanto riguarda gli effetti indesiderati della somministrazione di oppiacei perimidollari, prurito e nausea, sono state proposte numerose terapie.
Questi effetti indesiderati sono dovuti all’azione dei farmaci oppiacei sui recettori e possono essere bloccati in qualsiasi momento dalla somministrazione di antagonisti, ma la loro somministrazione sicuramente riduce l’azione analgesica delle sostanze iniettate (Naloxone continuo e.v. a 5-10 mcg/Kg/h o naltrexone orale 3-6 mg). Per la nausea di può somministrare del deidrobenzoperidolo 0.5-1 mg e per il prurito della difenidramina 10-50 mg. Il protocollo più efficace è quello di somministrare della scopolamina TTS per la nausea da morfina, propofol 10 mg ev o deidrobenzoperidolo 2.5 mg e.v. per il prurito.