Dal sito “Allevia Hub dolore: Il dolore è uno delle principali problematiche della società moderna essendo il sintomo che più frequentemente porta il paziente dal medico. Quando il dolore diventa cronico la qualità della vita del paziente affetto si riduce enormemente, portando con sé anche una condizione di stress emotivo e livelli di disabilità più o meno importanti. Il dolore cronico rappresenta un problema socialmente rilevante, soprattutto nei sottogruppi di popolazione più fragili.

Stili di vita scorretti con alti livelli di stress, il fumo ed una dieta non equilibrata con conseguente sviluppo di obesità, hanno un impatto negativo aggravante la condizione di dolore cronico e ne rendono più difficile anche il controllo.1

Il dolore cronico spesso è dovuto a uno stato proinfiammatorio persistente. La riduzione di cibi proinfiammatori e il contemporaneo aumento di vegetali, frutta e grassi insaturi può aiutare ad alleviare il dolore cronico.1

Vari studi negli ultimi anni hanno mostrato l’impatto positivo che modelli di alimentazione virtuosi possono avere sul dolore cronico nonché su comorbidità ad esso associate come obesità, diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e depressione. Tuttavia, i dati presenti ad oggi in letteratura non sono univoci e non permettono di preferire una strategia di alimentazione piuttosto che un’altra. Tale valutazione e la scelta di un modello alimentare rimane ancora alla sensibilità del clinico, basata su una accurata conoscenza delle patologie e dello stile di vita del paziente.1

Restrizione calorica e digiuno

Il dolore cronico può indurre cambiamenti neuroplastici nella struttura e nelle funzioni cerebrali. Evidenze recenti hanno mostrato che questo tipo di alterazioni cerebrali associate al dolore cronico sono modificabili e reversibili tramite esercizio fisico, allenamento incrementale nonché tramite precisi interventi clinici quali la restrizione calorica ed anche alcune forme di digiuno sotto controllo medico.1

Le tipologie di digiuno terapeutico includono il digiuno intermittente, il digiuno parziale e l’alimentazione in un tempo ristretto (dall’inglese “Time-Restricted Feeding”, tipologia di dieta che prevede il consumo di tutti i pasti della giornata in un periodo di tempo limitato, dalle due alle otto ore). Il digiuno terapeutico può portare a perdita di peso, migliorando vari indici di salute (come l’insulino-resistenza e fattori di rischio per le malattie cardiovascolari). Può, inoltre, ridurre lo stato proinfiammatorio e lo stress ossidativo, portando a un aumento del metabolismo cellulare e stimolando la rigenerazione mediata da cellule staminali. Il digiuno intermittente tramite l’attenuazione dei processi infiammatori sia a livello centrale che periferico contribuirebbe sia come prevenzione al rallentamento delle patologie croniche infiammatorie associate a dolore cronico, sia facendo diminuire la sensazione di dolore.1

Diete ad alto contenuto di PUFA (acidi grassi polinsaturi)

È stato ipotizzato come una dieta chetogenica ricca di grassi, povera di carboidrati possa alleviare sintomi come dolore e mal di testa in un’ampia varietà di patologie neurologiche, come cancro al cervello, sclerosi multipla, trauma cranico, Alzheimer e morbo di Parkinson.1

Recentemente sono stati identificati i meccanismi che contribuirebbero al ruolo neuroprotettivo della dieta chetogenica, questi includono:1

·  miglioramento della funzione mitocondriale;

·  inibizione dei mediatori della flogosi (interleuchine e fattore di necrosi tumorale alfa);

·  diminuzione dello stress ossidativo.

 Tuttavia, dato che i PUFA omega-3 e i PUFA omega-6 mostrano potenzialmente sia effetti antinocicettivi che pronocicettivi ricerche sono ancora in corso e ad oggi dati su vaste casistiche non sono ancora presenti. In un gruppo relativamente piccolo di soggetti (67 pazienti con cefalea cronica quotidiana) è stato condotto uno studio con lo scopo di valutare i benefici di una dieta ad alto contenuto di omega-3 e basso contenuto di omega-6 (H3-L6) contro una dieta con basso contenuto di omega-6 (L6). I pazienti che hanno ricevuto la dieta H3-H6, rispetto ai pazienti che hanno ricevuto la dieta L6, hanno mostrato un miglioramento significativo dell’HIT-6 (Headache Impact Test), con una riduzione del dolore, miglioramento della qualità di vita e aumento dei livelli dei mediatori antinocicettivi derivati da omega-3.1

Dieta vegetariana a basso contenuto di grassi

Una dieta vegetariana o prevalentemente vegetariana, a basso contenuto di grassi, può portare a molteplici benefici per la salute generale, causando una diminuzione dell’infiammazione e migliorando il controllo della glicemia, la pressione sanguigna, e la concentrazione di lipidi a livello ematico.1

Numerosi studi sembrano attestare la sua efficacia nel controllo del dolore, specie in alcune forme di mal di testa. In uno studio randomizzato, crossover interventistico sono stati valutati gli effetti sull’incidenza e sulla gravità del mal di testa di una dieta a basso contenuto di lipidi rispetto a una dieta con moderati livelli di lipidi. Le due diete sono state prescritte in maniera casuale per 3 mesi e successivamente incrociate per i 3 mesi successivi in 83 pazienti adulti con emicrania episodica o emicrania cronica. Il numero e la gravità degli attacchi emicranici sono diminuiti drasticamente in entrambi i gruppi di intervento, con risultati ancora migliori per la dieta ipolipidica (< 20% vs. 25-30% dell’apporto energetico giornaliero totale). Effetti benefici sono stati anche descritti nella riduzione del dolore nella neuropatia diabetica come conseguente riduzione dei valori medi della glicemia.1

Diete di eliminazione

Dolori cronici sono spessissimo riportati da pazienti con intolleranze alimentari più o meno manifeste clinicamente. Le diete di eliminazione che comprendono dieta senza glutine, dieta senza lattosio e dieta senza istamina, sono caratterizzate da piani alimentari in cui un determinato alimento o un certo gruppo di alimenti è rimosso dalla dieta per uno specifico periodo di tempo, al fine di alleviare i sintomi che si ritiene siano causati da questo. Tale tipologia di dieta viene spesso utilizzata in casi di allergie o intolleranze alimentari innescate da specifici alimenti.

Dieta iperproteica

Un adeguato apporto proteico giornaliero è indispensabile per preservare la forza e la massa muscolare, in particolar modo nei pazienti anziani affetti da dolore muscoloscheletrico cronico dove spesso vi è associata una perdita di fibre muscolari (sarcopenia). Nelle diete iperproteiche, gli amminoacidi essenziali sono presenti in grandi quantità e sono fondamentali per i meccanismi di anabolismo muscolare, per la sintesi proteica. La possibile interazione con i meccanismi di controllo del dolore è basata sul fatto che a partire da questi amminoacidi, sono sintetizzati tre neurotrasmettitori primari e modulatori del dolore: serotonina, endorfine e acido gamma-butirrico. Alcuni studi hanno sottolineato come il consumo di 90-100 g di proteine al giorno possa da un lato prevenire l’esaurimento dei neurotrasmettitori ed il deperimento muscolare e l’instaurarsi di una sarcopenia, e dall’altro contribuire al controllo del dolore cronico.1

Altri alimenti e/o molecole importanti nel contesto del dolore cronico

Amminoacidi

Come già discusso, le proteine e gli amminoacidi essenziali che le costituiscono risultano fondamentali per i processi biochimici e rientrano nei meccanismi di controllo del dolore.

Uno dei migliori esempi di questo concetto è l’amminoacido triptofano, precursore della serotonina, neurotrasmettitore coinvolto nei sistemi discendenti di controllo del dolore. L’integrazione del triptofano da solo o in combinazione con un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI) può aiutare a controllare il dolore, sulla base del presupposto che molti stati dolorosi sono determinati da una ridotta efficienza del sistema serotoninergico e che una maggiore integrazione (tramite triptofano), insieme ad un blocco della sua eliminazione, possono portare ad un migliore controllo del dolore.2

Altro amminoacido che può dare un contributo alla gestione del dolore cronico è la fenilalanina. Si ipotizza che questo amminoacido possa agire come un inibitore dell’encefalinasi, aumentando quindi il rilascio di encefaline a livello delle corna dorsali del midollo spinale, potenziando così l’attività endogena degli oppioidi.2

Altro esempio di amminoacido importante nel contesto del dolore è la carnitina, connessa al corretto funzionamento della stragrande maggioranza dei processi biochimici del corpo umano. La carenza di carnitina è infatti correlata a vari problemi metabolici, cardiologici e muscoloscheletrici. Secondo un recente studio effettuato su pazienti con sindrome del tunnel carpale da lieve a moderata, la carnitina potrebbe contribuire ad alleviare la sintomatologia dolorosa tramite un miglioramento della funzione mitocondriale.2

Vitamine antiossidanti e minerali

L’integrazione nei piani alimentari di vitamine e minerali nel contesto di malattie croniche può contribuire al miglioramento dello stato di salute generale.1

Uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco ha testato l’efficacia degli antiossidanti vs. placebo nel ridurre il dolore addominale in un campione di 61 pazienti affetti da pancreatite cronica. Lo studio ha mostrato che dosi giornaliere di un antiossidante contenente 600 µg di selenio organico, 0,54 g di vitamina C, 9000 IU di b-carotene, 270 IU di vitamina E e 2g di metionina hanno portato a una riduzione del dolore dopo 3 mesi di somministrazione.1

Oligoelementi

Questi elementi sono necessari in quantità minime per la crescita e la fisiologia dell’organismo umano e possono avere un ruolo nel controllo del dolore.

Il Selenio (Se), oltre alle sue proprietà antiossidanti può potenziare la funzionalità del sistema immunitario. Bassi livelli di questo oligoelemento sono stati associati a condizioni di dolore cronico, in particolar modo in pazienti affetti da fibromialgia.2

Altro oligoelemento di interesse per la nocicezione è il Magnesio (Mg). La carenza di questo è correlata a dolore e crampi muscolari, l’assunzione di Mg infatti può contribuire al rilassamento muscolare e dunque alla riduzione del dolore muscolare.2

Frutta e Fibre

La frutta è un alimento ricco in polifenoli, molecole studiate e utilizzate per i loro effetti antiossidanti e le proprietà antinfiammatorie.1

Oltre alla frutta sono impiegati anche integratori alimentari ricchi di fibre, come la gomma di guar parzialmente idrolizzata (PHGG), al fine di migliorare la sintomatologia dolorosa, in particolare il dolore addominale nei pazienti pediatrici.1

Prebiotici e Probiotici

L’utilizzo di prebiotici, probiotici e simbiotici è stato ampiamente studiato negli anni.1 I probiotici sono definiti come “microrganismi vivi che quando somministrati in quantità adeguate rappresentano un beneficio per la salute dell’ospite”. La definizione di prebiotici è invece la seguente: “ingredienti alimentari non digeribili che agiscono in maniera positiva sull’ospite stimolando selettivamente la crescita e/o l’attività di uno o di più specie di batteri nel tratto digerente”. Il termine simbiotico si riferisce alla combinazione di prebiotici e probiotici che mostrano un effetto sinergico nell’influenzare positivamente la salute dell’ospite.3 Grazie alle loro proprietà e azioni benefiche nei confronti della flora intestinale, prebiotici, probiotici e simbiotici sono diventati indispensabili nella terapia di molte patologie. La letteratura specifica sull’argomento è vasta e tendente a chiarire i meccanismi complessi di interazione tra microbiota-sistema immunitario-cervello. L’importanza del milieu intestinale deriva dal fatto che nel tratto digerente vengono trasformati e liberati amminoacidi, acidi grassi e neurotrasmettitori quali triptofano e serotonina che entrano direttamente nei sistemi di controllo del dolore. Tale interazione avviene in modo bidirezionale.

Bibliografia

1.        Dragan S, Șerban MC, Damian G, Buleu F, Valcovici M, Christodorescu R. Dietary Patterns and Interventions to Alleviate Chronic Pain. Nutrients. 2020 Aug 19;12(9):2510.

2.        Casale R, Symeonidou Z, Ferfeli S, Micheli F, Scarsella P, Paladini A. Food for Special Medical Purposes and Nutraceuticals for Pain: A Narrative Review. Pain Ther. 2021 Jun;10(1):225-242.

3.        Simon E, Călinoiu LF, Mitrea L, Vodnar DC. Probiotics, Prebiotics, and Synbiotics: Implications and Beneficial Effects against Irritable Bowel Syndrome. Nutrients. 2021 Jun 20;13(6):2112.

L’effetto dello stile di vita sulla salute è oramai consolidato. Per esempio, è stato evidenziato come i soggetti che non fumano, fanno abituale attività sportiva, hanno un indice di massa corporea non elevato e seguono una dieta bilanciata abbiano il 78% di probabilità in meno di sviluppare una malattia cronica e con essa il dolore. Una condizione che accomuna in pratica tutte le principali malattie croniche è la presenza nella loro evoluzione di episodi infiammatori più o meno ricorrenti; la presenza di infiammazione comporta l’insorgenza di sintomatologie caratterizzate da dolore, mentre la sua riduzione ne diminuirebbe l’entità.  

Una dieta ricca in cibi processati o trasformati, con una grande quantità di grassi, sale e conservanti, ma povera di fibre e di antiossidanti, ha un’azione proinfiammatoria, oltre a promuovere un abbassamento del pH, destabilizzante per la funzionalità degli enzimi dell’organismo. Dati in letteratura suggeriscono che, al contrario, diete ricche di fibre, frutta, vegetali, a basso contenuto di zuccheri, di carboidrati amidacei e di oli poco sani ad alto contenuto di grassi saturi, possono ridurre l’infiammazione e mantenere il pH a livelli fisiologici. In Tabella 1 sono elencati gli alimenti con caratteristiche anti o proinfiammatorie. 

Alimenti con caratteristiche antinfiammatorie Alimenti con caratteristiche proinfiammatorie 
tutte le verdure a foglia verde zucchero 
avocado pane 
frutti di bosco dolci 
noci e semi cereali trasformati 
lenticchie e fagioli riso bianco 
quinoa cibi fritti 
grano saraceno carne rossa 
cereali integrali patata bianca 

Come valutare l’alimentazione del paziente e come indirizzarlo verso abitudini alimentari più sane? 

Tracciare le abitudini alimentari di un individuo può risultare difficile e deve essere fatto con cautela, al fine di massimizzare la propensione del paziente a discutere delle sue abitudini personali. Un approccio impreciso potrebbe suscitare sentimenti di imbarazzo o di colpa. Molte persone non hanno chiaro il concetto di dieta regolare, spesso non hanno la consapevolezza di quali possano essere i cibi più salutari e quali invece no.  

Al fine di valutare le abitudini alimentari dei pazienti sarebbe importante che il Medico si concentri su alcuni parametri fondamentali:  

  • quantità di frutta e verdura consumate
  • quantità di zucchero o bevande zuccherate artificialmente o con zuccheri aggiunti consumate
  • quantità di altre fonti di zucchero nella dieta, come caramelle o prodotti di pasticceria consumate
  • quantità relativa nella dieta di alimenti trasformati consumati rispetto al cibo fatto in casa

Per quanto riguarda, in particolare, lo zucchero, i pazienti potrebbero essere talmente abituati al suo consumo eccessivo da avere un gusto desensibilizzato. Benché demonizzato negli anni passati e poi parzialmente “riabilitato” non vi è dubbio che esso rappresenti uno degli alimenti consumati in eccesso nelle nostre diete ed uno dei parametri più importanti da controllare. Al fine di ripristinare de novo le abitudini del paziente, potrebbe essere utile rimuovere completamente dalla dieta lo zucchero per una settimana in modo che il palato torni ad una condizione di normalità. Lo stesso principio si può adattare anche alle quantità di sale. 

Altro importante aspetto riguardante gli zuccheri è l’indice glicemico (GI). Risulta, infatti, fondamentale educare i pazienti alla comprensione di questo parametro. Un concetto semplice da trasferire al paziente sarebbe quello che l’indice GI si riferisce al tasso di aumento della glicemia dopo aver consumato un determinato alimento, ed è misurato rispetto ad uno “standard” che ha un punteggio di 100. Un alimento ad alto indice glicemico ha un GI > 55. Cibi con un basso GI producono solo piccole fluttuazioni della glicemia e dei livelli di insulina. Al contrario, cibi con alti valori di GI producono grandi fluttuazioni nella glicemia che possono, alla lunga, portare verso l’insulino-resistenza e all’aumento dell’infiammazione, fattore di sviluppo delle più note malattie croniche degenerative.  

Specifici supplementi alle diete che possono alleviare l’infiammazione e il dolore 

Vi sono svariate tipologie di antiossidanti, minerali, vitamine da poter utilizzare come supplementi nelle diete. Tra questi si possono selezionare alcuni particolarmente consigliabili, dati i loro costi ridotti, la loro facile reperibilità e la grande quantità di dati che ne dimostrano l’efficacia nel migliorare lo stato infiammatorio e ridurre il dolore.  

Vitamina D 

Al di là del suo ruolo fondamentale nella salute dell’osso, carenze significative di questa vitamina sono state riscontrate in soggetti che soffrono di dolore cronico. Dati in letteratura suggeriscono come la semplice integrazione di vitamina D possa portare ad un miglioramento dei sintomi di dolore. La carenza di vitamina D, in generale, è associata ad un maggiore stato infiammatorio nonché suscettibilità alla malattia, sono d’altronde necessari livelli sufficienti di questa vitamina per mantenere un sistema immunitario sano ed efficiente. 

In alcuni pazienti è difficile raggiungere livelli ottimali di questa vitamina nonostante l’integrazione, in tali casi è importante farsi guidare dai livelli sierici della 25-idrossivitamina D, forma inattiva presente in circolo. Le carenze più comuni si riscontrano nei pazienti anziani, dove spesso tali mancanze si associano a osteoporosi, e nei pazienti obesi.  

La dose generalmente considerata sicura per l’assunzione di vitamina D è di 2000 UI/ al giorno per via orale, mentre il limite massimo considerato ancora senza effetti collaterali è settato a 4000 UI/ al giorno.  

Omega-3 

I PUFA (acidi grassi polinsaturi) omega-3 e omega-6 sono nutrienti essenziali che devono essere ottenuti dalla dieta. I PUFA omega-3, in particolare, sono: l’acido alfa linolenico, proveniente da piante come il lino; l’acido docosaesaenoico (DHA) e l’acido eicosapentaenoico (EPA), provenienti da alimenti come pesce, uova, manzo. I PUFA Omega-3 hanno un potere antinfiammatorio, dimostrato in vari studi, queste molecole infatti, per esempio, si sono mostrate in grado di avere un effetto analgesico contro l’infiammazione nel dolore articolare.Uno studio ha inoltre dimostrato una riduzione del 60% del dolore discogenico dopo l’aggiunta di 1200 mg di omega-3. Le dosi utilizzate in molti studi vanno da 3000 a 4000 g della combinazione di EPA e DHA, dosi che possono essere trovate in circa 6000-8000 mg di olio di pesce. 

Vitamina B12 

La vitamina B12  è necessaria per la fisiologia produzione dei globuli rossi e per una densità ossea ottimale. Dati in letteratura hanno evidenziato una correlazione tra la carenza di questa vitamina e disfunzioni neurologiche e dolore cronico.  

Per quanto riguarda i valori consigliabili di assunzione della vitamina B12, una dose di 1000 mg/ al giorno assunta per via sublinguale può produrre un miglioramento di sintomi del dolore, insonnia e stanchezza. 

Magnesio 

Oltre alle sue funzioni essenziali, il livello di magnesio sembrerebbe essere in grado migliorare la pressione sanguigna, la frequenza degli episodi di emicrania, i sintomi delle palpitazioni, i crampi e il dolore associati alla sindrome dell’intestino irritabile

La dose giornaliera di magnesio per alcuni pazienti può variare dai 200 ai 400 mg, per altri, invece, può essere necessaria una dose maggiore. 

Per un assorbimento ottimale di questo elemento a livello intestinale, è maggiormente raccomandabile il magnesio in forma di glicinato, malato e citrato (in polvere o in pillole). 

Curcuma e Zenzero 

La curcuma e lo zenzero sono tuberi correlati, possiedono entrambi proprietà antinfiammatorie ampiamente studiate. In studi di laboratorio lo zenzero funge da antinfiammatorio interrompendo l’azione della ciclossigenasi 2 (COX-2) in vari modi. Per quanto riguarda la curcumina vari studi hanno evidenziato le sue proprietà antinfiammatorie e la sua utilità per il dolore postoperatorio. Il loro utilizzo clinico, tuttavia, non è supportato da robusti dati su di campioni significativi di pazienti. 

Bibliografia 

1. Tick H. Nutrition and pain. Phys Med Rehabil Clin N Am. 2015 May;26(2):309-20. 

Dieta ed emicrania

L’emicrania è caratterizzata da attacchi ricorrenti e invalidanti, spesso accompagnate da disturbi sensoriali e motori 1. Si stima che la prevalenza globale dell’emicrania sia del 14,4% in entrambi i sessi2. Sono stati analizzati i possibili meccanismi alla base ed è ormai accertato che l’attivazione del sistema trigeminovascolare sia coinvolta1. Recentemente, è dimostrato che l’emicrania sia sensibile alla dieta e che alcuni alimenti scatenino attacchi di emicrania1. Questo ha portato alla definizione di strategie per prevenire l’emicrania1.


Dieta di eliminazione

Ogni paziente con mal di testa può avere un trigger specifico o un insieme di fattori scatenanti2. È noto che alcuni tipi di alimenti e bevande possono agire come fattori scatenanti del mal di testa, come formaggio, cioccolato, agrumi, alcol, caffè, pomodori, carboidrati, prodotti lievitati e vino rosso2. Se i trigger dietetici vengono identificati con precisione, evitarli impedirebbe di conseguenza l’emicrania negli individui affetti1. Secondo gli studi effettuati, un alimento potrebbe essere considerato un fattore scatenante se il mal di testa si verificasse nel 50% dei casi entro un giorno dall’esposizione1.


Diete chetogeniche

Una recente revisione della letteratura ha mostrato gli effetti benefici delle diete chetogeniche sul mal di testa1. Le diete chetogeniche portano all’elevazione dei corpi chetonici, che agiscono sul funzionamento mitocondriale, sullo stress ossidativo, sull’eccitabilità cerebrale, sull’infiammazione e sul microbioma intestinale1. Pertanto, queste diete sono state proposte per promuovere la neuro-protezione, migliorare la funzione mitocondriale, compensare la disfunzione serotoninergica, diminuire i livelli di CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina) e sopprimere la neuro-infiammazione1.


Dieta epigenetica

È stata discussa una strategia dietetica secondo la quale aggiungendo determinati composti con meccanismi d’azione specifici, si può potenzialmente interferire con la patogenesi dell’emicrania1.

Recenti studi sulla patogenesi dell’emicrania, con particolare attenzione all’epigenetica, hanno riscontrato che le metilazioni del DNA sono associate all’insorgenza dell’emicrania1. Ad esempio, alcuni studi hanno dimostrato che l’integrazione di acido folico è benefica per l’emicrania. Il folato e le vitamine B6 e B12 sono necessarie per la produzione di omocisteina che, a livelli plasmatici elevati, è associata ad un aumentato rischio di mal di testa1. Pertanto, una carenza di questi elementi provoca l’ipometilazione del DNA, scatenando l’emicrania1.


Dieta a basso contenuto di sodio

Secondo i risultati di un ampio studio di coorte, potrebbe esserci una relazione negativa tra la pressione sanguigna e l’insorgenza del mal di testa2. Il sodio può provocare attacchi di cefalea tramite un’influenza diretta sull’aumento della pressione sanguigna o inducendo una disfunzione endoteliale2. In uno studio descrittivo su 266 donne con cefalea emicranica, è stato osservato come il mal di testa grave avesse una prevalenza del 46% in meno nei soggetti con la massima aderenza alla dieta a basso contenuto di sodio2.


Asse intestino-cervello e probiotici

L’emicrania è spesso accompagnata da sintomi gastrointestinali, inclusi nausea, vomito, dispepsia e disturbi intestinali1. È stato anche scoperto che il mal di testa si verifica a un tasso più elevato nei pazienti con disturbi gastrointestinali1. Pertanto, è stato ipotizzato che il dialogo incrociato tra intestino e cervello possa avere un impatto diversi disturbi neurologici e comportamentali1. Di conseguenza, la modulazione del microbiota intestinale è stata proposta per trattare o prevenire tali disturbi1.

A causa dell’aumentata permeabilità intestinale, alcune sostanze pro-infiammatorie possono raggiungere il sistema trigeminovascolare e innescare attacchi di tipo emicranico1. Questa teoria è in linea con i risultati che dimostrano l’esistenza di un legame tra l’emicrania e varie malattie infiammatorie, comprese le allergie e l’asma1.

In generale, molteplici fattori, come le interleuchine, il profilo del microbiota intestinale, serotonina, dopamina e norepinefrina, e ormoni dello stress sono coinvolti in questo processo1. L’alterazione del microbiota intestinale da parte dei probiotici ha dimostrato effetti benefici e alcuni probiotici – principalmente ceppi di lattobacilli e bifidobatteri – potrebbero rivelarsi utili per aumentare l’integrità della barriera epiteliale intestinale1.


Bibliografia

  1. Gazerani P. Nutrients 2020; 12(6):1658.
  2. Razeghi Jaromi S et al. The Journal of Headache and Pain 2019; 20:106.