L’Artrite Reumatoide (AR) – più correttamente definita Malattia Reumatoide a causa della notevole frequenza dell’interessamento extra-articolare – è una malattia di origine autoimmune a carattere infiammatorio che colpisce le articolazioni in modo variabile e, in circa il 25-30% dei casi, come si è detto, anche distretti (organi e apparati) extra-articolari.

Il processo infiammatorio nel tempo tende a distruggere le cartilagini articolari e, nella fase più avanzata, le articolazioni colpite possono evolvere in anchilosi, con conseguenti deformità. La prevalenza nella popolazione italiana si aggira sull’1%, con una netta preferenza per il sesso femminile (rapporto di 7:1 coi maschi).

CAUSE

Come in quasi tutte le patologie autoimmuni, non è stata individuata, a tutt’oggi, una causa specifica del processo  autoimmune. Oggi si pensa piuttosto a un’origine multifattoriale di tale processo: molti cioè possono essere i fattori eziologici – virali, soprattutto, ma non solo – in grado di determinare, in particolari condizioni, da parte dell’organismo, una risposta anticorpale “deviata” che va a colpire parti dell’organismo stesso.

Perciò si parla di “autoanticorpi”: nel caso dell’AR, l’autoanticorpo in questione è il Fattore Reumatoide (FR). In altri termini, l’eziologia, cioè la causa, puo variare, ma il meccanismo con cui essa agisce (patogenesi) è comune. Tali autoanticorpi, unendosi ai rispettivi “autoantigeni” (componenti dell’organismo modificati in modo patologico, e pertanto non più riconosciuti dall’organismo come suoi propri) degli “immunocomplessi”, che a livello articolare vengono “fagocitati”, cioè inglobati, da cellule dette “macrofagi”, i quali formano all’interno delle articolazioni colpite un tessuto patologico, detto “panno sinoviale” che attacca la cartilagine articolare e la distrugge.

Entrano in gioco anche fattori genetici – é descritta una familiarità, anche se non si può certo parlare di ereditarietà – e ormonali – è una malattia molto più frequente nel sesso femminile, soprattutto in età fertile (è più rara in menopausa). Possono esserci fattori scatenanti (traumi, infezioni), ma più spesso l’esordio è indipendente.

SINTOMI

L’esordio può essere vario (subdolo, graduale, acuto): il primo sintomo, il dolore articolare, spesso associato a rigidità articolare mattutina, può a volte precedere anche di qualche mese la comparsa delle tumefazioni, che il più delle volte interessano le articolazioni delle dita di entrambe le mani (andamento simmetrico), con possibile successivo coinvolgimento delle articolazioni sovrastanti (polsi, gomiti: andamento aggiuntivo).

L’interessamento è di solito a più articolazioni (forme “poliarticolari”), piu raramente a quattro (o meno) articolazioni (f. “oligoarticolari”), solo eccezionalmente a una (f. “monoarticolari”). La successiva evoluzione in sublussazioni e infine anchilosi (quarto stadio) è dovuta alla progressiva erosione delle cartilagini articolari da parte del panno sinoviale, anche se va detto che oggi, grazie alle migliorate prospettive terapeutiche, è più infrequente che in passato giungere a tale stadio. Quando ciò accade, possono crearsi deformità caratteristiche, come, ad es., alle mani, quelle dette a “colpo di vento” o a “collo di cigno”. Sul piano laboratoristico, nel siero si verifica di solito un aumento dei cosiddetti indici infiammatori (VES, PCR, alfa.-2 globuline nel quadro proteico) e si riscontra, in circa l’80% dei casi, la positività del Reumatest, indice della presenza del FR (AR detta sieropositiva), di cui è importante ai fini prognostici la titolazione o determinazione quantitativa, i titoli più alti essendo associati a forme più severe. Nel 20 % dei casi il Reumatest è negativo (AR detta sieronegativa), anche se in realtà in gran parte di questi casi il FR è comunque presente, ma non è evidenziabile con gli usuali metodi o magari è presente solo a livello articolare e non nel sangue.

La distinzione fra le due forme è però importante, perchè solo nella sieronegativa possono comparire manifestazioni extra-articolari, quali ad es. i noduli reumatoidi, caratteristicamente localizzati dietro i gomiti o su altri tendini, ma a volte anche in organi interni , ad es. nei polmoni. Più temibile, sempre nell’AR sieropositiva, la comparsa, comunque rara, della vasculite reumatoide, processo infiammatorio che colpisce le pareti delle arterie, spesso agli arti inferiori. Il FR non è specifico per l’AR, esso può esser presente anche in altre malattie, quali tubercolosi, epatiti croniche da virus B e C, tiroiditi, altre patologie autoimmuni come il LES, nonchè in una ridotta (5%) percentuale di soggetti sani: questa eventualità va sempre tenuta presente in caso di Reumatest positivo in assenza di sintomatologia artritica. Nel 25% dei casi di AR sono anche presenti gli anticorpi antinucleo (ANA).

Il decorso dell’AR è molto variabile: si va da forme acute e rapidamente ingravescenti, a forme relativamente lievi (soprattutto le sieronegative) e ad altre con periodiche riacutizzazioni. Molto dipende dalla precocità della diagnosi e dallo scrupolo nel praticare la terapia.

DIAGNOSI

La diagnosi va posta il prima possibile, anche se va sottolineata l’esigenza della certezza diagnostica, pena il rischio di sottoporre il paziente a trattamenti incongrui. A tale riguardo, a livello internazionale è stata codificata una serie di di elementi, sia clinici che laboratoristici e radiologici, detti appunto “criteri diagnostici”, quattro dei quali rappresenta il numero minimo per una diagnosi di certezza.

In linea generale, il riscontro obiettivo delle tumefazioni articolari è indispensabile per la diagnosi, nei casi dubbi, caratterizzati da una sintomatologia esclusivamente soggettiva (presente solo il dolore), è consigliabile uno stretto monitoraggio, prima di attuare terapie che, se non idonee, possono solo dar luogo a effetti indesiderati o addirittura “mascherare” dei sintomi, confondendo il quadro clinico e ritardando quindi la diagnosi corretta (tale errore è frequente soprattutto per l’uso affrettato e incongruo dei cortisonici). In casi del genere, possono essere utili indagini strumentali quali la scintigrafia articolare e la risonanza magnetica, più che le radiografie, le quali evidenziano segni chiari quando già sono presenti le tumefazioni.

RISCHI

Il rischio maggiore è l’evoluzione in quarto stadio, che può determinare gravi invalidità. Decisivi sono la precocità della diagnosi, l’inizio della terapia e il monitoraggio successivo, che nei primi tempi del trattamento va effettuato ogni tre – quattro mesi, anche in relazione alla risposta terapeutica, nonchè all’eventuale insorgenza di effetti collaterali dei farmaci. Importanti, in tal senso, sono la collaborazione  specialista – medico di base e lo scrupolo del paziente nel seguire il trattamento.

A tale riguardo, uno degli errori più frequenti si verifica quando il paziente, in seguito a un miglioramento significativo, abbandona ogni cura, credendo di essere guarito, cosa impossibile, essendo l’AR malattia cronica per definizione e quindi non suscettibile di guarigione definitiva; su questo punto lo specialista deve essere molto chiaro col paziente, in casi del genere, infatti, col tempo si va incontro inevitabilmente a una riacutizzazione.

TRATTAMENTI

La terapia dell’AR prevede l’uso di farmaci cosiddetti “di fondo”, cioè che agiscono sulle alterazioni immunologiche alla base della malattia, e quindi possono essere considerati curativi in senso stretto (DMARDS sigla inglese che sta per “Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs), associati ad antiinfiammatori non-steroidei (FANS), che hanno invece un’efficacia più che altro sintomatica, senza veri effetti curativi, ma necessari perchè ad azione antiinfiammatoria immediata, mentre i DMARDS esplicano la loro piena efficacia terapeutica solo dopo un periodo di latenza anche di varie settimane.

Il cortisone va riservato ai casi iperacuti e a quelli caratterizzati da particolare compromissione degli indici infiammatori e di autoimmunità. Fra i DMARDS i più usati sono il methotrexate (MTX), disponibile sia in compresse che in fiale sottocute, a somministrazione settimanale, il leflunomide (Arava) e la ciclosporina (Sandimmun), a somministrazione giornaliera, e, nei casi più lievi, soprattutto se sieronegativi, l’idrossiclorochina (Plaquenil), anch’essa a somministrazione quotidiana. In disuso sali d’oro e penicillamina a causa dell’elevata tossicità. La scelta di un DMARD invece che di un altro è spesso legata all’esperienza dello specialista, oltre che alle condizioni specifiche del paziente, ma non tutti i DMARDS sono sempre egualmente efficaci, e a causa del suddetto periodo di latenza la loro azione potrà essere valutata solo dopo alcune settimane, durante le quali i sintomi, soprattutto il dolore, verranno attenuati dal concomitante uso di un FANS,

In caso di comprovata inefficacia di un DMARD se ne adotta un altro, in caso di scarso effetto anche di quest’ultimo si passa, come terza scelta, ai farmaci cosiddetti “biologici” (anti-TNF e anti-interleuchine), ultimi arrivati nel campo del trattamento dell’AR, il cui capostipite, l’etanercept (Enbrel) fu introdotto una ventina di anni fa ed è stato poi seguito da numerosi altri (se ne stanno scoprendo sempre di nuovi). In alcuni schemi terapeutici possono essere associati due DMARDS, in altri il biologico viene adottato come seconda scelta, in caso di fallimento del primo DMARD. Di tutto ciò il paziente va accuratamente informato a inizio cura, altrimenti potrà erroneamente pensare che lo specialista procede “a tentoni”, come pure andrà dettagliatamente istruito sul programma dei controlli reumatologici nel tempo – almeno ogni tre – quattro mesi fino a che la situazione clinica non si sia stabilizzata in una soddisfacente remissione, dopodichè i controlli potranno essere dilazionati a uno – due l’anno – e soprattutto sulla possibile insorgenza di effetti collaterali dei farmaci usati (epatolesività e mielotossicità per MTX, ipertensione arteriosa e nefrotossicità per ciclosporina, retinopatia per l’idrossiclorochina: è evidente che un paziente già sofferente in uno di tali  apparati non potrà usare quel farmaco, ad es. a un epatopatico non andrà prescritto MTX). Ai FANS, data la loro elevata gastrolesività, andrà sempre associato un gastroprotettore, fermo rimanendo che in caso di remissione clinica significativa e duratura il FANS può essere anche sospeso, mentre il DMARD andrà continuato a tempo indeterminato.

Il paziente va altresì informato che l’eventuale terapia con farmaci biologici va di solito effettuata in ambito ospedaliero, solo dopo un’ accurata esclusione di concomitanti patologie infettive e/o neoplastiche. Per tutti questi motivi è indispensabile uno stretto rapporto specialista – paziente, oltrechè specialista – medico di base – paziente: quest’ ultimo, se da un lato va incoraggiato circa la grande disponibilità farmacologica odierna, che ha profondamente modificato il decorso di una malattia un tempo molto temuta e reso davvero rari i casi di grave invalidità, va altresì ammonito circa le possibili riacutizzazioni, purtroppo sempre in agguato, soprattutto nei casi di scarso scrupolo nel seguire la cura. Spesso l’approccio del fisiatra ed eventualmente dell’ortopedico può costituire un valido supporto al trattamento farmacologico, che rimane comunque la base della terapia dell’AR e necessita strettamente dell’azione dello specialista reumatologo.